Il governo regionale sardista-leghista rompe gli indugi e ci riprova oltrepassando ogni limite nel programma di sperpero di terre e paesaggi della Sardegna.

Il disegno di legge della giunta (febbraio 2020) accoglie, con il consenso a maggioranza dalla commissione urbanistica, la spericolata tesi confindustriale: «creare sviluppo superando tutti i blocchi che lo frenano». Gli impicci da rimuovere sono le regole urbanistiche e quelle del Codice dei beni culturali ovvero del Piano paesaggistico regionale. Per liberarsi dai lacci ecco la normativa extra large: una raffica sconcertante di deroghe per incrementare i volumi edificati dappertutto, pure nelle aree più tutelate. E ce n’è per tutti: secondo il sentimento iperliberista-pop della destra sarda. Corroborato dal comportamento di Pd&co. da cui sono venute negli anni scorsi proposte simili un po’ meno peggio.

Il nuovo piano-casa è generoso oltre le attese. Senza ritegno, visto che consente di costruire nelle campagne pure a chi non ha il requisito di imprenditore agricolo, o di mercanteggiare i crediti di volume trasferibili a distanza. Tutto si può con disinvoltura; e ogni pretesto è buono, pure la tragedia della pandemia in corso. Così, cinicamente, le misure di distanziamento antivirus servono – oplà – per giustificare l’ampliamento delle strutture ricettive.

ll provvedimento avrebbe un effetto rovinoso nella fascia costiera tutelata dal Ppr che non ammette trasformazioni incompatibili. Violando il principio nella giurisprudenza costituzionale secondo cui i vincoli sui beni paesaggistici sono revocabili solo d’intesa con il Mibact e non dal legislatore regionale. È per questo che il governo pensa di impugnare la legge, e che plausibilmente la Consulta la boccerà, ma si teme per il tempo di vigenza nel quale le disposizioni avranno efficacia.

Le scelte politiche della maggioranza che guida la Regione appaiono immotivate. Non si capisce come si possano assumere decisioni in assenza di un quadro di conoscenze aggiornato (l’ultima ricognizione è stata svolta 15 anni fa per la redazione del Ppr). Così tutte le scelte sono fondate su valutazioni aleatorie o su falsi presupposti. Si pensi alla fittizia esigenza di ampliare gli alberghi che contano su un irrisorio indice di occupazione poco sopra il 50% nei mesi estivi, un’ inezia nel resto dell’anno. D’altra parte è viziata la tesi secondo la quale il ciclo edilizio perpetuo sarebbe la panacea per la Sardegna. Una visione arretrata che contrasta con le raccomandazioni di autorevoli studiosi perché si smetta di infierire insensatamente sui sistemi ambientali.

Affiorano infatti i dubbi espressi nell’ultima consultazione svolta dalla Regione. Nello sfondo si intravede la crisi dell’alleanza tra l’impresa turistica e quella delle costruzioni perché gli albergatori temono la concorrenza della moltitudine di case per vacanza, di cui si ignorano i numeri e la dislocazione. Preoccupa il processo di spopolamento del centro dell’isola. Favorito dal richiamo del dinamismo nei litorali, dall’illusione che lì si possa trovare occupazione, nonostante la sofferenza di città come Olbia certificata dall’impegno della Caritas.

C’è infine la convinzione temeraria che il provvedimento migliorerà la qualità del costruito. Una certezza che viene meno leggendo l’elenco delle opere autorizzabili, comprendente la chiusura di verande e piani pilotis, la copertura di piscine, l’uso abitativo dei seminterrati, ecc. Sicuro trionfo di sciatterie in insediamenti già sgradevoli per la sovrabbondanza di brutture. La crescita dei valori immobiliari nell’isola – con ragione auspicata non solo nelle riviere – può realizzarsi con una maggiore tutela dei luoghi naturali resi più accessibili da trasporti efficienti. E magari con l’incremento delle attività culturali invece dei metricubi a casaccio. Fa notare il musicista Paolo Fresu che grazie al suo festival è cresciuto il valore delle case di Berchidda, il paese lontano dal mare dove ogni estate si svolge “Time in Jazz”.