Cultura

Una narrazione del quotidiano tra poesia e paura, sangue e umanità

Una narrazione del quotidiano tra poesia e paura, sangue e umanità

Scaffale «Diario di un genocidio – 60 giorni sotto le bombe a Gaza», di Atef Abu Saif, appena tradotto in italiano da FuoriScena libri

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 2 agosto 2024

Esistono libri che segnano un tempo, altri che raccontano un tempo indefinito. Potrebbero essere stati scritti in ogni epoca, per quanto sono ferocemente umani. Questo è il caso di Diario di un genocidio – 60 giorni sotto le bombe a Gaza, di Atef Abu Saif, appena tradotto in italiano da FuoriScena libri (pp. 272, euro 18). Pur riferito a un periodo preciso, racconta un mondo intero.
Lo scrittore palestinese, agli inizi di ottobre 2023, si reca con il figlio a trovare la sua famiglia nella Striscia di Gaza, dove è nato, nel campo profughi di Jabalia. Adesso vive a Ramallah, dove lavora e partecipa alla vita politica palestinese con il partito Fatah, che controlla l’Autorità nazionale palestinese e la Cisgiordania. Già questo è un punto, non secondario. Un punto che arriva dritto al cuore dei luoghi comuni ed errati che la narrazione mainstream di questi mesi ha continuato a divulgare, su suggerimento interessato delle autorità israeliane. Non solo non è un militante di Hamas, ma ha avuto in passato anche gravi scontri con il movimento che controlla Gaza da anni. Come lui, tante persone non hanno nulla a che fare con Hamas, altre sono contro il movimento, ma lo sterminio in atto nella Striscia colpisce tutte e tutti indiscriminatamente. L’attacco del 7 ottobre lo sorprende mentre fa il bagno. Una scena forte, un momento raccontato come una sequenza cinematografica, che aiuta a cogliere l’umano nel disumano, il quotidiano che viene sorpreso dallo straordinario.

Atef Abu Saif

MA CHE PER UN GAZAWI, e per un palestinese in generale, non è mai un momento dissociato.
Come tutte le vittime di qualsiasi guerra si possono riconoscere in questo accurato diario, allo stesso tempo, per un palestinese è come se fosse sempre l’ultimo capitolo di una storia che è allo stesso tempo personale e collettiva. Per lo scrittore, tradotto in tanti paesi del mondo, firma abituale per Guardian e Le Monde, New York Times e Washington Post, è come rimestare nei suoi traumi. Nato durante il conflitto del 1973, ferito durante la Prima Intifada negli anni Ottanta, a Gaza durante la feroce punizione collettiva del 2014: Atef Abu Saif porta con sé decenni di oppressione. Come lui, ogni palestinese. E questo destino di sofferenza, ogni volta, si rinnova, nei patimenti personali e collettivi.
Ora Atef Abu Saif è riuscito a uscire, a tornare dalla sua famiglia in Cisgiordania, ma questo diario potrebbe essere continuato da ogni singolo abitante della Striscia di Gaza che continua a confrontarsi – minuto dopo minuto – con la consapevolezza di non essere mai al sicuro.

IL RACCONTO QUOTIDIANO è potente, ricorda certe pagine struggenti dell’assedio di Sarajevo, ma a differenza di quelle riesce a cucire il dettaglio della sopravvivenza nel mezzo di un’apocalisse e il legame storico che ogni tragedia tesse tra una generazione di palestinesi e la precedente.
Ecco che tutta la disumanizzazione alla quale è stata sottoposta – da anni – la popolazione civile di Gaza nel racconto israeliano va in frantumi di fronte all’acume della penna di Atef Abu Saif, capace di citare T.S. Elliot di fronte a un palazzo devastato, e all’umanità delle vittime, come sua nipote, che si sveglia tra le macerie di un bombardamento e alla quale tocca dire che la sua famiglia è svanita in un momento e che lei vivrà per sempre senza gambe. Poesia e paura, sangue e umanità: tutto si tiene, intrecciato, trama e ordito delle vite palestinesi. Che nel diario di Atef Abu Saif trovano la dignità di un nome, di una storia, come accade sempre per le vittime israeliane. Una lettura potente, umana e colta, profonda e dolorosa.
Di «animali umani», quelli che raccontava il ministro della difesa israeliano Gallant sosteneva che vivessero a Gaza, non c’è traccia. Di tutto il dolore di questo genocidio, invece, c’è un documento e una testimonianza che parla a tutte le nostre coscienze.

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