Verrà presentato domani 18 novembre al Centro di documentazione Maria Baccante presso l’ex Snia di Roma (ore 10, Parco delle energie, via Prenestina 175) il libro 1977 tra storia e memoria di Alessio Gagliardi (manifestolibri, pp.122, euro 12). Il volume, agile e sintetico, getta le basi per una nuova stagione di studio non solo sul movimento del 77 ma sull’intera parabola degli anni settanta-ottanta.

L’IMPIANTO DELL’OPERA è di tipo interpretativo e già questa è una novità decisiva. Dentro un’annata così densa di anniversari, il progetto è analogo a quanto proposto da Nicola Labanca nell’opera da poco pubblicata dal Mulino su Caporetto: intrecciare storia e memoria privilegiando una narrazione problematizzante, costruendo una guida per facilitare l’approccio alla molteplicità delle questioni in campo.

IL MOVIMENTO DEL 1977 viene contestualizzato all’interno dello scenario della seconda metà del decennio settanta. Al contrario del Sessantotto, il 77 secondo Gagliardi non è ancora riconosciuto e codificato come un «fatto storico», nonostante la disponibilità diffusa di fonti e percorsi di ricerca.
È prevalso un approccio legato alle memorie personali, che ha inevitabilmente veicolato omissioni e parzialità nel ricordo e nell’interpretazione. Gagliardi dimostra che è possibile e necessario uno sguardo scientifico maturo ma non distaccato, capace di restituire profondità e complessità alle numerose tematiche che emergono: dalla dimensione studentesca ai problemi organizzativi, dal nodo della violenza alla repressione, dalle pulsioni creative al rapporto con il lavoro, dalle reazioni dei partiti all’irrompere delle questioni di genere, dall’attenzione all’ambiente e all’austerità.
L’autore non è un «movimentologo»: emerge con forza l’esperienza maturata nello studio del fascismo, delle connessioni tra politica ed economia, nella prospettiva metodologica di verificare puntualmente le differenze tra gli attori in campo e i rapporti di forza.

L’APPLICAZIONE così stringente del metodo storico conduce a diverse e per certi versi sorprendenti chiavi di lettura, che ci consentono di superare alcune consolidate visioni. Una questione su tutte: l’irriducibile inconciliabilità tra le due cosiddette anime del movimento, quella creativa-culturale (tendenzialmente non-violenta) e quella militante-organizzata (tendenzialmente violenta). Nelle pagine centrali del libro questa divisione viene respinta a favore della tesi della contaminazione di una comune tensione in cui potevano convivere emozioni e passioni diverse. La dimensione politica di questa contaminazione ha rappresentato probabilmente la novità più dirompente del movimento: «la gran parte dei protagonisti del ’77 non appartennero integralmente e in via esclusiva né ai violenti né ai creativi, ma rimasero nel mezzo, partecipando a un’esperienza che, è bene ricordarlo, fu vissuta come eminentemente politica, anche se con un’idea di politica diversa dal passato».

E ANCORA: «a legare violenza e creatività per alcuni mesi fu un approccio alla politica largamente condiviso, la comune rabbiosa avversione alla ’politica dei sacrifici’ e il mito unificante della liberazione del tempo umano dalle necessità del lavoro produttivo». L’autore propone un punto di vista che non sposa la tesi della consequenzialità tra la critica dei sacrifici e l’accettazione della società dei consumi da parte di un movimento che, anche quando si poneva l’obiettivo della riappropriazione delle merci, criticava ferocemente le dinamiche di un mercato considerato sempre più oppressivo.

PROPRIO PERCHÉ occorre restituire al movimento stesso tutta la sua dimensione politica, bisogna secondo Gagliardi declinare non tanto il tema dell’uguaglianza ma quello della liberazione. L’autore sottolinea così un’evidenza che non è affatto scontata e, al contrario, ancora largamente inesplorata: la connessione tra il 77 e il femminismo, il primo movimento di massa capace di dichiarare esplicitamente che «il personale è politico».