La rimozione. Napoli è in silenzio, attonita. Stenta a reagire. Neppure piange. Diego Maradona è morto da qualche minuto. Non c’è reazione e la zona rossa predisposta dal governo per l’emergenza Covid-19 non c’entra niente. È morto Maradona, è inaccettabile, era immortale. Anzi, è immortale, resta immortale, coscienza e immagine di un popolo, sintesi inarrivabile di pregi e difetti di un popolo rapito con uno sguardo, un sorriso e un calcio al pallone.

Per strada, per le vie del centro, sguardi bassi, capo chinato sui cellulari. Il tam tam, le domande, il dolore, la sofferenza fisica. Se chi legge si chiede il perché, perché tanto dolore e vicinanza per la morte di un calciatore che ha vestito la maglia del Napoli oltre 30 anni fa: non c’è logica spiegazione, difficile da spiegare, ancora più da comprendere. Il buio dell’animo dei napoletani diventa improvvisamente luce a Fuorigrotta, il quartiere dello Stadio San Paolo, la casa di sette anni di magie del Diez e oltre venti di struggente nostalgia per la sua assenza.

Fino all’arrivo del Covid-19 che ha proibito gli spalti ai tifosi, in ogni gara casalinga c’è stato un coro per Diego, una bandiera, uno striscione. Era ancora casa sua. Saranno accese tutta la notte per lui, uno degli omaggi della sua città adottiva, la sua culla, assieme a Buenos Aires. All’esterno dello stadio si celebra il primo assaggio del funerale del fuoriclasse argentino. Una marea umana, lacrime vive, sincere, in silenzio, una striscia di fiori, le candele con il numero 10 del Napoli ai piedi delle transenne, il raccoglimento per la scomparsa di un parente stretto, di un moltiplicatore di sogni e grandezza.

Le stesse immagini, pianti, abbracci, l’esercito dei fedeli del Diez, non si capacita della sua perdita all’esterno de La Bombonera, lo stadio del Boca Juniors, l’altra squadra di Diego, con cui ha detto addio al calcio mentre era in corso la sua battaglia contro la dipendenza. Il filo tra le due città è spesso, indissolubile. Il legame di sangue con Baires, l’affinità elettiva con Napoli, una vicinanza viscerale, osmosi di sangue partenopeo e argentino. A ora di cena, il pellegrinaggio laico verso il murales del Diez ai Quartieri Spagnoli con la maglia numero 10 del Napoli del primo scudetto è iniziato. Un passaggio in silenzio, lo sguardo verso Diego, la fotografia da ricordare, preghiere, cori, applausi, tra Diego effigiato sulle mura di un palazzo e le bandierine di decine di Paesi. Il tributo del mondo al dio del calcio. Napoli sta prendendo coscienza della tragedia, comincia a reagire, a scuotere il capo.

Sempre ai Quartieri Spagnoli sono state allestite in tempo reale una fila di bancarelle. In esposizione le stampe, le gigantografie, i memorabilia, addirittura le vhs degli anni Ottanta, il decennio di Diego in Italia, del più grande di sempre con la casacca del Napoli e della nazionale argentina.

Non un dettaglio: a Napoli, a distanza di decenni si continua a tifare per la Selecciòn per lui, il dolce pensiero degli innamorati di Diego. Ma, mai nominare Messi. Un fuoriclasse, il numero 10 del Barcellona, forse degno di accomodarsi alla corte del re. Ma il re resta lui, Diego, senza discussioni. «Se ne va una parte del mio cuore» dice Beppe Bruscolotti, il capitano del Napoli che accolse Diego nel 1984 e a cui consegnò la fascia di capitano. Diego promise in cambio l’arrivo del primo scudetto, impegno mantenuto, raddoppiato. Quasi tutti i compagni di squadra del primo scudetto del Napoli non rispondono a telefonate, messaggi, inviti a un ricordo anche via Whatsapp. Non si riesce, non ci si crede. Diego è morto.

Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, dice che il San Paolo prenderà il nome di Maradona, raccogliendo a distanza il tam tam mediatico dei tifosi del Napoli che vogliono intitolare l’impianto al suo eroe e rilanciata anche dal presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis. L’account del Napoli su Facebook, Twitter e Instagram è listato a lutto. Sui social si moltiplicano le manifestazioni di vicinanza, affetto, gli omaggi dei campioni a Diego. Pelè, Del Piero, Totti, Maldini, Ronaldinho. Ma è per strada, la strada dove è cresciuto, dove a nove anni faceva voltare tutti gli amanti del calcio a Buenos Aires, che si coglie l’eredità del Diez, la sua presenza emotiva. Saranno lunghi giorni, lunghe notti, la scatola nera dei tifosi del Napoli e dei devoti del Diez presenterà il conto con i suoi ricordi. Diego non è stato solo gol e assist, era la polaroid del passato, dei parenti-tifosi del Napoli ora scomparsi che avevano potuto assistere a successi e scudetti. Alle magie di un ciuffo indisponente di riccioli che con il sinistro incantava il mondo.