Arvo Pärt è stato il fenomeno musicale più dirompente dell’ultimo scorcio del Novecento. Dirompente, perché ha ribaltato l’idea stessa di musica contemporanea non in maniera polemica, com’era accaduto più volte nel corso del secolo, bensì con uno svuotamento radicale degli orizzonti linguistici dell’arte occidentale, cosa forse possibile solo a un’anima disposta a sopportare, come un monaco medioevale, le più crudeli asprezze del rigore ascetico. La tabula rasa invocata da Boulez nell’immediato dopoguerra come un lavacro morale, prima ancora che tecnico, dei linguaggi artistici ereditati dalle generazioni precedenti, ha finito paradossalmente per ritorcersi contro il suo stesso inventore, diventando nelle mani di Arvo Pärt il simbolo di un vocabolario totalmente nuovo e svincolato da ogni parvenza di processo storico.

LA RADICALE ALTERITÀ del nuovo stile di Pärt, la tecnica cosiddetta tintinnabuli, parola latina per campanelli, messa a punto verso la metà degli anni ’70 alla fine di un sanguinoso periodo di vero e proprio sradicamento dall’orecchio delle forme sonore accumulate dalla musica occidentale in mille anni di storia, si contrapponeva sia all’ottimismo progressista di quel che rimaneva delle cosiddette avanguardie, sia allo scetticismo pessimista serpeggiante tra le fila del variegato mondo della musica postmoderna, riscuotendo un successo duraturo e internazionale del tutto inaspettato dall’autore stesso.
Il Saggiatore ha deciso di ripubblicare un volume monografico che riporta l’attenzione sulla figura di Arvo Pärt, che ha da poco superato la soglia degli 80 anni, nel 2015, Allo specchio – Conversazioni con Enzo Restagno. Il libro nasce nel 2004 dal focus dedicato a Pärt dall’allora festival torinese di Settembre Musica, non ancora allargatosi a Milano nella nuova formula di Mito Settembre Musica. Il cuore del lavoro consiste nell’ampia intervista biografica di Restagno ad Arvo Pärt, sostenuto e integrato nei ricordi dalla moglie Nora, musicologa raffinata e acuta interprete del lavoro del marito.

Restagno scava nel percorso del musicista estone, incalzandolo in maniera discreta a chiarire i principali aspetti dei processi compositivi per mettere a fuoco gli snodi cruciali della sua produzione. Ne scaturisce un racconto molto accessibile e schietto della sua formazione in una regione culturalmente periferica come l’Estonia, con un ricordo molto sentito di un maestro oggi purtroppo dimenticato e misconosciuto come Heino Eller, dei suoi esordi nella nuova musica sovietica degli anni Sessanta e dell’avventurosa ricerca di un rapporto con le forme più avanzate del linguaggio musicale occidentale, fino alla crisi degli anni ’70 e la radicale conversione a uno stile scandalosamente scarno ed essenziale.

QUEST’ULTIMA PARTE è indubbiamente la più avvincente e interessante, con il racconto di come Pärt abbia passato anni chiuso in casa a scrivere ossessivamente monodie, alla ricerca quasi disperata di una linea melodica scevra di ogni eco armonico e polifonico della tradizione occidentale, sulla quale si era formato il suo orecchio interno.

PER CERCARE L’ISPIRAZIONE, Pärt prendeva spunto da qualsiasi fonte per così dire spirituale, dalla lettura di un Salmo alla fotografia di un’immagine di montagna, riempiendo in maniera compulsiva pagine e pagine di schizzi musicali alla ricerca di questa melodia pura e perfetta.
L’incontro con Alfred Schnittke, arrivato a Tallinn nel 1976 per registrare il suo Requiem, è stata la scintilla che ha permesso a tutta questa massa di lavoro interiore di divampare in un fuoco creativo, grazie al saggio suggerimento di provare a tradurre in suoni gli appunti accumulati e di smetterla di stare rinchiuso in casa con gli occhi incollati sui fogli. Il rapporto con la concreta esperienza dell’ascolto era in effetti l’ossigeno necessario per la combustione delle nuove idee che si erano formate nel corso di quel lavoro certosino, e che paradossalmente convergevano verso una diversa relazione tra suono e silenzio cercata (e trovata) in tutt’altro ambito da Luigi Nono negli stessi anni. La monografia è completata da una selezione di saggi, scelti da Restagno tra il meglio che la letteratura musicale poteva offrire 15 anni fa su Arvo Pärt.

OLTRE A UN EMPATICO ritratto artistico schizzato dallo stesso Restagno, sono particolarmenti degni di nota il saggio del musicologo austriaco Leopold Brauneiss, che illustra in maniera dettagliata e illuminante le caratteristiche dello stile tintinnabuli, e la testimonianza di Jordi Savall, un artista apparentemente lontano dal mondo di Pärt, capace tuttavia di toccare con estrema sensibilità le corde segrete di una musica rivolta a un tempo non della storia, ma dell’eternità.