«Non appena lascio un lavoro, sono già dentro un altro. Anche se non è iniziato e non ho idea di cosa sarà. Ho un grande problema a rimanere fedele all’opera che ho appena finito».
L’artista americana Beverly Pepper, classe 1922, nativa di Brooklyn, ma da anni cittadina elettiva di Todi («non sono stata io a sceglierla, ma è stata Todi a scegliere me» è una delle sue frasi più ricorrenti, a dimostrazione di come la cittadina umbra, e tutta la regione, sia assurta a parte fondamentale della sua poetica), è protagonista di due omaggi.
Il primo – Art in the Open – è un evento della Biennale di Venezia allo Spazio Thetis dell’Arsenale che ha proposto, «in trasferta», con il prologo documentale e audiovisivo delle scenografiche e teatrali Todi Columns (già lì perché donate dall’artista ai Musei civici nel 1990), un’antologia di sculture in Cor-ten d’argomento mitologico, filosofico e religioso, realizzate nell’ultimo decennio.

L’ESPOSIZIONE ALL’APERTO è curata da Massimo Mattioli con il supporto della Fondazione Progetti Beverly Pepper. È una sorta di introduzione al secondo degli appuntamenti: l’apertura oggi del Parco di Beverly Pepper a Todi. Una monografia «green», interamente progettata per ospitare una ventina di sculture che hanno il duplice scopo di preservare la donazione dell’artista alla «sua città» e insieme di creare un site-specific antologico che leghi la pluri-matericità delle opere all’«umore» natural-vedutistico creato ad hoc per i visitatori, a cui l’artista ha pensato di regalare delle panchine a lunette in pietra serena che consentono punti panoramici per «un’osservazione meditativa» dei suoi lavori.

Proprio l’osservazione attenta e approfondita delle opere di Beverly Pepper fa pensare a una felice coincidenza temporale, in cui come direbbe il fisico Carlo Rovelli è il presente a dileguarsi. Tra la sua venuta al mondo novantasette anni fa e ciò che scrisse una decina d’anni prima Umberto Boccioni non vi è l’opposizione tra passato e futuro, ma qualcosa di straordinariamente sovrapponibile. A leggere il futurista della Città che sale e Sviluppo di una bottiglia nello spazio sembra proprio che questi parli delle monumentali (parola peraltro non amata da Boccioni) sculture dell’americana e della loro funzione di raccordo spaziale all’interno di cornici urbane e paesaggistiche. Il che trova un corrispettivo notevole in una definizione di Giovanni Urbani, contenuta in uno scritto del 1961, un anno prima della leggendaria mostra Sculture nella città realizzata per il Festival dei Due Mondi di Spoleto, che diede in consegna – e a futura memoria alla cittadina umbra – anche un’opera di Pepper, Il dono di Icaro.

LO STORICO DELL’ARTE e teorico del restauro individuava l’astrattismo come lingua franca e senza confini dell’arte. L’abbattimento di barriere (più filosofiche che reali) e la fuoriuscita dai canoni del linguaggio artistico classico hanno consentito a Beverly Pepper di ascrivere la sua opera a esperienze più vicine a estasi mistiche che sottraggono l’esistenza alla quotidianità. D’altronde l’Umbria è terra di mistici e santi.
Lei stessa in una conversazione inedita ebbe così a chiudere il discorso sul passato: «Non ci penso. Il trucco è scoprire dove vai mentre lavori e non è facile: quando sai già cosa stai facendo perdi l’eccitazione della scoperta, la freschezza, l’energia. Qualcosa deve venire dall’inconscio. Voglio scoprire dove sono andata piuttosto che conoscere la destinazione già prima. La nostra è una continuazione inconscia dell’esperienza della nascita. Non sai cosa viene fuori e devi amarlo, sei molto più attenta quando fai scaturire qualcosa e gli artisti generano una nascita a ogni passo. Dare vita è anche l’azione più creativa possibile».