Cos’hanno in comune Raniero Panzieri e Rocco Scotellaro? Di primo acchito, niente. Molto, nella formazione politica. Entrambi hanno forgiato la propria militanza nelle campagne meridionali. Il poeta contadino denunciò, nel vivo delle lotte per la terra del dopoguerra, «la cultura italiana» che «sconosce la storia autonoma dei contadini, il loro più intimo comportamento, colto nel suo formarsi e modificarsi presso l’azione».

DISTANZIANDOSI dalla stessa cultura italiana, Panzieri volle toccare con mano quei contadini. Chissà, forse, ne intravedeva in nuce la potenza, sebbene fossero classi subalterne frammentate, disunite, irretite dall’egemonia della cultura italiana esercitata dagli intellettuali borghesi, tanto crociani-gentiliani quanto togliattiani.
Nel 1947, Panzieri si trasferì a Bari presso la Federazione Socialista e conobbe lo «spessore culturale di De Martino», con cui sviluppò un particolare «modus operandi»: un’inchiesta sociale in grado di interagire con la cultura profonda, le convinzioni e le condotte personali, e negli anni ’60 sarà denominata «conricerca».

METODOLOGIA che, l’anno dopo, Panzieri sperimentò in Sicilia, durante le lotte contadine, e dopo il ’56 contro la cultura italiana e il marxismo ortodosso, riempiendo il vuoto tra la base e il vertice delle organizzazioni del movimento operaio, e che sarà «il metodo tout court» dei «Quaderni rossi». In Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi». Alle radici del neomarxismo italiano di Marco Cerotto (DeriveApprodi, pp. 128, euro 10), viene fuori un profilo molto interessante di Panzieri. Un volume agile che indaga tratti biografici trascurati dalla storiografia passata e da quella prodotta per i quarant’anni dalla sua morte.

L’AUTORE SVOLGE uno scavo archeologico sulla formazione di Panzieri: ne illumina aspetti del percorso giovanile che appaiono fondamentali per comprendere la prassi e la teoria sviluppati negli anni ’50. In particolare, l’apprendistato nel Mezzogiorno. Il che spiega le scelte professionali e politiche successive, come quella di pubblicare – poi rigettata dall’Einaudi tanto da costargli il posto – un’inchiesta coraggiosa di Goffredo Fofi sulla nuova classe operaia, L’immigrazione meridionale a Torino. Oppure l’avvicinarsi con metodi innovativi alla conoscenza degli operai meridionali a Torino: la «rude razza pagana», la nuova composizione operaia, irriducibile alla disciplina del Pci e alla cultura italiana, con cui ha interagito, seppur velocemente, ma senza perdersi l’entrata in scena dell’operaio massa nella rivolta di piazza Statuto del luglio ’62.

UN FIL ROUGE innestato nel tronco dell’operaismo, che lo ritroviamo nelle organizzazioni e nelle lotte operaie degli anni ’70, e nello studio magistrale di Luciano Ferrari Bravo e Alessandro Serafini, Stato e sottosviluppo. Il caso del Mezzogiorno d’Italia, sulla formazione della classe operaia a partire dal Sud.
Il libro di Cerotto ha un enorme pregio: illuminare il passato panzieriano, dove si trovano le radici della lettura innovativa del Capitale e dell’operaismo («neomarxismo»). E si chiude con un capitolo sintesi del primo operaismo e della parabola dei «Quaderni rossi»: Divergenze teoriche tra Panzieri e Tronti. Le ragioni potrebbero sembrare inverosimili, ma i dissapori si reggevano su una profondità teorica oggi inconcepibile. La consapevolezza di vivere una fase storica completamente diversa in cui s’imponeva una continua ricerca sia del capitale che della classe operaia: da una parte, la posizione di Panzieri, sulla «scientificità del marxismo», dall’altra, quella trontiana, sulla «rivoluzione copernicata». Essa stessa dogmatica, ché vedeva nella classe operaia un antagonismo per antonomasia, non il «capitale variabile»; invece Panzieri sapeva come il passaggio dalla «classe in sé» alla «classe per sé», non era automatico, richiedeva un metodo scientifico d’inchiesta (conricerca). Metodi simili li aveva visti all’opera, nel suo passaggio a Sud, scoprendo «la storia autonoma dei contadini»; dove, forse, conobbe Scotellaro, attorno al quale nel ’54 promosse a Matera il convegno «Intellettuale del Mezzogiorno».
Con questo libro Panzieri è riportato lì dove si forma la sua militanza eretica. E se l’operaismo si sviluppa fuori i cancelli di Mirafiori, la sua ontologia è nelle province meridionali.