Se siete stufi di investigatori precisi, o in ogni caso amabili anche nelle loro imperfezioni ma pur sempre esperti di cucina, fini osservatori, grandi amanti e conquistatori, Gabriele Sarfatti fa per voi. Si tratta del personaggio protagonista dell’ultimo noir di Gianluca Ferraris, Shaboo (Novecento editore, pp. 370, euro 14,90). Ferraris è un giornalista d’inchiesta alla sua terza prova narrativa: prima di Shaboo erano stati pubblicati – sempre con Novecento editore – A Milano nessuno è innocente e Piombo su Milano; titoli che ricordano quelli dei poliziotteschi anni ’70 di cui Ferraris mantiene la profondità dei personaggi e la fondamentale importanza del ritagliare un ruolo rilevante alla città – nel suo caso Milano – che fa da sfondo alla vicenda.

IL PRIMO PROTAGONISTA di tutti i libri di Ferraris è Gabriele Sarfatti, un giornalista precario, quarantenne ma ancora adolescente per sua stessa ammissione, che tende quasi sempre a ficcare il naso in situazioni più grandi di lui. Cinico il giusto (a tratti si ride di gusto, in altri casi la risata è dolce amara, quando Ferraris si diverte a prendere in giro tic tipici di tanti giornalisti, tra foto su Instagram, fame di Like e piccole infamità quotidiane), Sarfatti è anche un consumatore seriale di sostanze (e Luckyblu), un vero e proprio tossico sintetico che non disdegna praticamente niente (nemmeno a livelli di alcolici) e che vive tutta la sua esperienza di giornalista e indagatore digrignando i denti e attraverso lampi di follia da richiamare subito all’ordine con materia chimica ad alterare i neuroni.
Le indagini che conduce Sarfatti sono spesso caotiche e sono rese possibili da una rete relazionale di amici – quasi sempre outsider anche quando incredibilmente sembrano rivestire ruoli di responsabilità – che paiono contrapporsi alla patina hipster della Milano post Expo. E allora il giornalista si muove tra le pieghe della sua vita precaria e disillusa, per ritagliarsi uno spazio di dignità almeno per se stesso. Ferraris ha una prosa precisa nel dipanare la trama (che, come nei precedenti volumi, si risolve davvero all’ultima pagina) e lirismi nell’affrontare tutto quanto circonda l’indagine, come nel caso degli intrappolati nel regime della nuova droga Shaboo, sul cui smercio si sviluppa una vera e propria faida tra Napoli e Milano.

QUEST’ULTIMA, la «Presunta metropoli», è lo sfondo delle vicende ma è protagonista essa stessa. A quanto siamo stati disposti a rinunciare per inseguire l’idea di una metropoli europea fatta di mille locali di tendenza, decoro, sicurezza e pulizia, almeno all’apparenza? Era questo il mondo che volevamo? Sarfatti cerca le risposte nelle sostanze e nelle sue indagini, come se solo il «Male» potesse essere inseguito e quasi acciuffato. Per poi scoprire, o forse semplicemente ricordarsi, che il «Male», in realtà non può essere sistemato, corretto, aggiustato perché non si nasconde solo tra le pieghe di faide e omicidi efferati. Forse allora, sembra dirci Sarfatti e tramite lui Ferraris, si può solo provare ad alterarlo, quel «Male».