Unica ricorrenza osservata da tutti i paesi dell’Unione, il Giorno della memoria ha assunto ormai un ruolo centrale nella costruzione dell’Europa unita. Nell’epilogo del suo grande affresco sul Dopoguerra, Tony Judt scrive che il riconoscimento dell’Olocausto è diventato nei primi anni Duemila il biglietto d’ingresso nell’Unione. La celebrazione della Shoah può essere considerata oggi un rito fondativo della religione civile europea: con tutti i problemi di «universalizzazione» in chiave moralistica e astorica e di uso politico della memoria che tale ritualizzazione ha portato con sé.

Delle problematiche connesse alla commorazione del 27 gennaio (giorno della liberazione di Auschwitz) e delle altre giornate istituite nei singoli paesi, si occupa il convegno internazionale «Le Giornate della Memoria della Shoah nell’Ue» in corso a Milano da ieri presso il Memoriale della Shoah. Il convegno – promosso dalla Fondazione Memoriale e dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e curato da Guri Schwarz (storico dell’Università di Pisa) – vedrà la partecipazione di un nutrito gruppo di studiosi internazionali chiamati a interrogarsi sulla funzione della memoria dell’Olocausto nell’Europa di oggi, sulle dinamiche che hanno portato a modificare i calendari nazionali e sulle relazioni tra la memoria dello sterminio ebraico e altre narrazioni nazionali.

L’obiettivo è fare il bilancio su circa un decennio di tale pratica commemorativa, tanto dal punto di vista storico, quanto da quello sociologico e politico. È legittimo aspettarsi che dal confronto tra i diversi casi nazionali emergeranno le diversità d’impostazione che derivano anche dalle vicende del dopoguerra: il décalage nell’ammissione delle responsabilità della Shoah; l’equiparazione nei Paesi dell’Est Europa dei crimini del comunismo allo sterminio degli ebrei; i tentativi di strumentalizzazione della memoria in occasione dei conflitti nei Balcani.

Sarà importante che dai lavori scaturisca una visione di insieme dei problemi che possa contribuire ad innalzare anche il dibattito politico e a smontare alcuni meccanismi. Del resto, ricordava Judt: «a differenza della memoria, che si conferma e si rinforza, la storia contribuisce al disincanto del mondo. L’essenziale di ciò che può offrire è talvolta destabilizzante e anche per questo non è mai prudente utilizzare il passato come un randello morale per rimproverare un popolo dei suoi peccati».