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Una melodia per il samurai

Una melodia  per il samuraiLa locandina del film "Lady Snowblood"

Storie/Le musiche che hanno accompagnato le pellicole del genere cinematografico chambara Un termine onomatopeico che sta a indicare il clangore provocato dall'incrocio delle spade

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 3 agosto 2024

Quando Sergio Leone, sotto lo pseudonimo di Bob Robertson, gira Per un pugno di dollari ha in mente per il suo western non i classici film di John Ford o Howard Hawks con John Wayne o James Stewart, ma i più esotici film di samurai giapponesi, «una mescolanza di avventura, ritualità, ironia» che avrebbero aderito benissimo anche tra i cowboy della Roma Far West. Tutti i nostri Django, Sartana, Keoma o Mannaja partirono quindi da Akira Kurosawa e dal suo La sfida del samurai, una pellicola che fece guadagnare al suo interprete, Toshiro Mifune, il premio come miglior attore nel 1961 durante la 22ª Mostra del cinema di Venezia. Il genere chambara, termine onomatopeico giapponese a indicare lo strepito provocato dall’incrocio di spade, però partiva ben prima e avrebbe attraversato decenni di pellicole, videogiochi e cartoni animati grazie anche alle sue musiche, iconiche quanto le opere che commentavano.
I PRIMI SEMI
Fin dai suoi primordi, il cinema giapponese aveva puntato sul jidaigeki, genere storico di diramazione teatrale, e nello specifico sui chambara, i film d’azione con spadaccini. Il più antico lungometraggio giapponese conservato fino ai nostri giorni, è I quarantasette ronin di Matsunosuke (1911), che raccontava della vendetta di quarantasette samurai contro il responsabile della morte del loro padrone. Era un cinema questo, quello del muto, ben diverso dal modello di Akira Kurosawa pieno di antieroi, ma con lo stesso conflitto tra onore e passione che molte volte volgeva in finali tragici e disperati. D’altronde il capolavoro di Jean-Pierre Melville, Frank Costello faccia d’angelo con Alain Delon, si apre con la frase: «Nessuno è più solo di un samurai senza padrone, forse soltanto una tigre nel deserto», un’idea che farà scuola anche a Hong Kong nei moderni action di John Woo con questi odierni ronin che morivano male tra facce nemiche, eroici e segnati da un fato avverso.
Il nome più importante per i chambara pre Akira Kurosawa è Masahiro Makino che non solo girò alcuni tra i film più iconici del genere in epoca muta, ma ricodificò l’idea di azione nei vari combattimenti messi in scena. Gli scontri tra i samurai, per esempio, in Rônin-gai – Dai-ichi-wa: Utsukushiki emono del 1928 sono modernissimi, ritmati in maniera così musicale da sembrare veri balletti, mortali, nonostante un cinema di ombre e in bianco e nero. In parte perduti, questi film furono rifatti e riproposti da Makino ben quattro volte, nel 1939, nel 1951, nel 1957 e nel 1990. A contraddistinguere queste nuove incursioni chambara però sono le musiche che nel 1928, nel pieno del cinema muto, non potevano commentare i variegati combattimenti.
Uno dei migliori parti del regista è probabilmente Il tatuaggio del drago: L’inferno è il destino dell’uomo del 1970 nel quale, in un’ambientazione moderna d’inizio Novecento, si mischia il genere yakuza con quello appunto dei samurai. A rendere ancora più emozionanti e epici gli scontri ci pensano le struggenti musiche di Shunsuke Kikuchi, l’autore di classici dell’animazione come L’Uomo Tigre (1969), Babil Junir (1973, Doraemon (1973), Cybernella (1973) e Kyashan il ragazzo androide (1973). La colonna sonora dell’artista passa dagli esperimenti blues, all’uso di strumenti acustici ed elettrici, accompagnati anche dalle percussioni, fino alla struggente catarsi degli scontri nei quali irrompe straziante e potente la tromba. Il sangue rosso stavolta arriva a macchiare lo schermo in un cinema, quello di Masahiro Makino, già moderno senza colore o musica.
LE DONNE DI TARANTINO
L’esperimento che compie Quentin Tarantino con i due Kill Bill (2003-2004) è di «pulpizzare», ossia estremizzare il genere chambara. Nulla di quello raccontato dal creatore di Dal tramonto all’alba è nuovo ma lo è, al pari del Dylan Dog di Tiziano Sclavi, l’uso delle citazioni, modernissime e innovative. In Kill Bill sono presenti i semi di Lady Snowblood e Lady Snowblood: Love Song of Vengeance (1973-1974), di Lone Wolf and Cub e delle sue varianti televisive e cinematografiche, del kung fu di Bruce Lee ma anche del karate del grande Sonny Chiba. Le donne di Tarantino sono forti, intraprendenti e fiere anche nel momento della morte quando il sangue schizza dalle vene come geyser non dissimilmente dalle uccisioni di Shogun il giustiziere (1980) di Kenji Misumi. Sono figlie delle Judy Lee del capolavoro, altrettanto pulp, Ku fang. Il ciclone di Hong Kong (1974) mentre le musiche si tramutano in un caleidoscopio eterogeneo di suoni e melodie che spaziano da Luis Bacalov a Nancy Sinatra, da Morricone a Johnny Cash. Il migliore e più emozionante dei brani presenti è però Battle without Honor or Humanity di Tomoyasu Hotei dallo scatenato funk rock, originariamente utilizzato nel film New Battles without Honor and Humanity del 2000.
ANIME E VIDEOGAME
Il serial d’animazione non è parco di samurai. Si pensi a I 5 samurai (1988), al classico Dororo (1969), tratto da un manga di Osamu Tezuka, al romantico Kenshin samurai vagabondo (1999), ma il miglior parto disegnato è senza dubbio Ninja Scroll (1993), scritto e diretto da Yoshiaki Kawajiri (La città delle bestie incantatrici) e ispirato dai racconti Ninpocho di Futaro Yamada. A musicare le avventure di Jubei Kibagami, guerriero abilissimo con la spada, che si ritrova, suo malgrado, a combattere contro i demoni di Kimon, guidati dall’immortale Genma, ci pensa Kaoro Wada in una colonna sonora che mischia classici temi della tradizione giapponese con un appiglio più moderno e marcatamente rock.
Anche i videogiochi però non sono da meno e il tema samurai è sempre un evergreen per le produzioni. Sekiro, Ghost of Tsushima e Nioh sono i più recenti, ma in passato abbiamo avuto una serie per PS2 ancora insuperata, Onimusha. La sua colonna sonora più riuscita però è quella del capitolo più sfortunato e meno blasonato, Onimusha: Dawn of Dreams (2006), ad opera del compositore Hideyuki Fukasawa. Il tema principale segue fedelmente lo stile della musica da film con la sua predominanza di ottoni, ritmi marziali e intermezzi corali. Tuttavia, ciò che rende unico il lavoro di Hideyuki Fukasawa è il suo modo di fraseggiare, e la melodia principale stessa possiede un’energia e una forza straordinaria, soprattutto durante le sezioni più intense del gioco. Un modo in cui la colonna sonora differisce dalle precedenti musiche di Onimusha è attraverso il suo libero uso di elementi contemporanei, come chitarre elettriche o ritmi elettronici.
Per chiudere non possiamo non citare un classico «So Bad, It’s Good», ossia un prodotto abbastanza brutto da essere buono e, nel campo videoludico, così sgangherato da essere assolutamente giocabile. Parliamo della serie di OneeChanbara che ibrida il tema dei samurai con quello degli zombi e presenta come protagoniste un gruppo di ragazze armate fino ai denti e poco vestite, in una non trama che avanza a combattimenti e smembramenti. Da noi il primo gioco arrivò come Zombie Zone per PlayStation 2 nel 2004 a pochi spiccioli nei cestoni dei supermercati, ma già da allora catturava per una grafica così scadente da essere avanguardia e per i combattimenti frenetici, con una colonna sonora ovviamente incredibilmente ignorante, molto disco anni Novanta, che però non faceva smettere di ghignare e di giocare. non esistono più i samurai di una volta!

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