Quanto vale il rischio di contaminazione dell’acqua che beviamo? Da qualche mese l’interrogativo per chi vive a Palmi, a Seminara o a Melicuccà, oltre ventimila abitanti della ex provincia (oggi Città Metropolitana) di Reggio Calabria, è tutt’altro che ozioso.

IL CAPOLUOGO HA URGENZA di disfarsi delle montagne di rifiuti che invadono da mesi vie e piazze con vista sullo Stretto, frutto dell’incapacità di affrontare con serietà il problema della raccolta differenziata. Nell’ex provincia la quota di rifiuti differenziati è scandalosamente ferma al 33,53% (dati Ispra giugno 2019 relativi al 2018), una tra le percentuali più basse d’Italia, mentre l’inceneritore di Gioia Tauro, il solo nella regione, lavora da tempo a ritmi più che dimezzati per carenza di manutenzione e obsolescenza delle sue componenti. In queste condizioni la sola (apparente) salvezza viene dalle discariche, da nuove discariche perché le vecchie, ormai esaurite, assolvono indisturbate soltanto la loro ultima funzione, quella contaminatrice del suolo, dell’acqua e dell’aria.

COSÌ IL 20 MAGGIO SCORSO la Regione Calabria ha disposto, in deroga alle prescrizioni del Codice dell’ambiente (d.lgs 152/2006), l’apertura di una discarica, in grado di accogliere circa 90 mila metri cubi di rifiuti, su di un pianoro aspromontano a 500 metri di altezza sul livello del mare. Ora, anche ammettendo l’anomalia di un’ordinanza che consente una deroga alla norma nazionale, pare insensato che la Regione chieda di saltare a piè pari tutte le procedure di controllo che la legge ha imposto a tutela della salute dei cittadini. Ma la Regione Calabria ha fatto anche di più. Nel 2013 il cantiere era già stato sottoposto a sequestro perché il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri aveva rilevato una lunga serie di ipotesi di reato, dall’abuso e omissione di atti d’ufficio all’inquinamento ambientale con riferimento a una vecchia discarica poco distante da quella in costruzione. Quando, perciò, il procedimento penale si concluse nell’aprile 2019, con la dichiarazione del Gip di Catanzaro di improcedibilità per intervenuta prescrizione dei capi di imputazione, il dissequestro del cantiere venne condizionato alla bonifica del vecchio sito. Or bene l’ordinanza regionale consente di riavviare i lavori e di coltivare la discarica prima ancora della presentazione del progetto di bonifica, superando perciò la stessa pronuncia del giudice di Catanzaro.

A QUESTE MACROSCOPICHE anomalie se ne aggiunge una ancor più grave. Come spiega il geologo Aurelio Circosta, «l’area interessata dalla discarica sorge a monte e all’interno del bacino di alimentazione della sorgente Vina, tra le principali di cui dispone oggi l’intera provincia, con il fondato rischio di comprometterne irrimediabilmente la qualità delle acque».

IL GEOLOGO SI SPINGE anche oltre sostenendo che l’acquifero complessivo sottostante quell’area sarebbe in grado di soddisfare il bisogno idrico dello stesso capoluogo. La sola Vina – notava già l’ing. Antonio Pucci nel 1911 nel redigere, tre anni dopo il disastroso terremoto che aveva sconvolto l’area dello Stretto, il progetto di massima per la realizzazione delle condutture che porteranno nel 1922 acqua potabile a Palmi, Seminara e Melicuccà – ha una portata costante di 116 litri al secondo, corrispondente ai bisogni di 40/50.000 persone. Oggi si sfruttano, infatti, solo una parte di quei 3,7 miliardi di litri all’anno che sono la potenzialità di una delle più ricche sorgenti potabili dell’intera Calabria. Questa preziosissima risorsa, ingegnosamente messa a frutto dai nostri nonni oltre un secolo fa, si trova 250 metri più a valle della discarica in costruzione ma le indagini sin qui svolte non hanno neppure preso in esame la sua vulnerabilità e la Regione Calabria non ne ha ancora definito l’area di salvaguardia come previsto dall’art. 94 del Codice dell’ambiente.

INFINE, NEPPURE UN CALCOLO economico, se proprio a questa dimensione si volesse ridurre il problema, può giustificare questa scelta perché ai ritmi attuali di produzione rifiuti la discarica sarebbe saturata già nell’arco di sei mesi/un anno. Si mettono, pertanto, a rischio beni preziosi come l’acqua per alleviare di qualche mese un’emergenza di cui non si vede la fine.