«Il mondo ha conosciuto così tante trasformazioni da renderlo irriconoscibile». Mai un’espressione è divenuta nel tempo così usuale. La proferisce il filosofo o il politico di turno, che discettano sull’inutilità di una alternativa al potere costituito. Il mutamento è dunque già avvenuto, inutile invocarlo: è questo il refrain che accompagna la spezzante critica verso chi invece quella trasformazione la vuole interrogare senza nessuna nostalgia per il passato, cercando nel presente gli elementi di un futuro imprevisto, dove la freccia del tempo del dominio viene spezzata per dare forma a una società della libertà: dalla sfruttamento, dalla necessità.
Il gruppo di studio e ricerca «Euronomade» è convinto da tempo che il termine trasformazione debba quindi essere qualificato, mettendo a verifica griglie interpretative, analisi che appartengono a una tradizione teorica definita come postoperaista. Dopo otto anni di crisi globale, i ricercatori e i militanti che ne fanno parte chiamano, da domani, a discutere teorici che hanno intrapreso altri percorsi di ricerca. L’appuntamento è all’auditorium Urbani di Passignano sul Trasimeno in provincia di Perugia. Tra gli invitati, intellettuali, ricercatori e giornalisti come David Harvey, Toni Negri, Valery Alzaga, Markos Trogoto, Vincenzo Comito, Raul Sanchez, Michael Hardt, Giso Amendola, Sandro Mezzadra, Sabrina Apicella e Srecko Horvat e Simone Pieranni.

Esplorazioni in divenire

Da tempo «Euronomade» insiste nell’individuare l’Europa come lo spazio dove operare politicamente per contrastare la gestione neoliberista delle società capitaliste, considerando le isituzioni sovranazionali del vecchio continente come uno dei poli dell’economia capitalista. Altre realtà hanno infatti fatto ingresso da protagoniste nella scena mondiale. La Cina, l’India, il Brasile e il Sudafrica, mentre la Russia vuole tornare ad essere uno dei padroni del mondo. Per definire le nuove mappe del capitalismo mondiale le dinamiche geopolitiche e geoeconomiche vanno però intese come rappresentazioni di «politiche di potenza» di società del capitale delle quali afferrare i punti di forza, ma soprattutto i punti di debolezza attorno ai quali i movimenti sociali potrebbero sviluppare la loro azione politica. Per questo «Euronomade» vuole innovare la propria cassetta degli attrezzi, dando come titolo all’incontro l’impegnativo «Spazi costituenti». Le politiche di potenza sono dunque propedeutiche a definire fasi costituenti di un ordine mondiale in divenire. Ma anche Passignano è inteso come uno «spazio costituente» di un punto di vista di parte. E così, dopo una necessaria definizione delle mappe del potere globale, l’analisi non può che tornare a fare i conti con la «traduzione» locale del capitalismo globale. La griglia analitica che gli organizzatori propongono ha una parola chiave nel «sindacalismo sociale», cioè in quelle forme di mobilitazione che hanno caratterizzato i movimenti contro la precarietà, delle occupazioni delle case, di riappropriazione del comune. Parola chiave pregna di ambivalenza, ma capace tuttavia di individuare terreni condivisi di discussione e elaborazione.
L’Europa non è però un feticcio da adorare, né uno spauracchio da agitare davanti gli occhi per chi, invece, continua a ritenere lo stato-nazione il luogo obbligato dell’azione politica. L’Europa reale è infatti quella dell’austerity che un neoliberismo ripropone come migliore ricetta possibile per uscire da quella crisi da esso provocata. E a Strasburgo e a Bruxelles non c’è dunque nessun terzo stato da convocare. Semmai vanno intesi come luoghi, assieme ad altri, della decisione politica di un potere multipolare che condiziona e spesso definisce gli ambiti della sovranità nazionali.
Nasce in questo contesto il dialogo con David Harvey, studioso marxista che ha definito una delle caratteristiche del neoliberismo, cioè la sua capacità «estrattiva» della ricchezza sociale prodotta attraverso la mediazione della finanza, che serve a rinviare temporaneamente una possibile «apocalisse» del capitalismo. Lettura problematica, quella di Harvey, ma comunque attraversata dal dubbio che non serve risollevare dalla polvere le bandiere dell’interventismo statale per riequilibrare rapporti di forza a favore del capitale. Harvey parla di alleanze necessarie e di innovazione nella lettura delle classi sociali. Euronomade è invece convinta che più di alleanze occorre muoversi sul terreno, anche esso ambivalente, delle coalizioni. Percorsi di ricerca non coincidenti, ma con alcuni significativi punti in comune.
Inoltre, il sindacalismo sociale allude a quel diritto alla città attorno al quale Harvey ha incardinato la sua analisi sulle trasformazioni urbane di questi anni. E se il geografo marxista americano parla della centralità di un proletariato che non si esaurisce nella figura del lavoratore di fabbrica, Euronomade preferisce usare la nozione marxiana di lavoro vivo.

Il vallo atlantico

A Passignano si preannuncia dunque un dialogo serrato che vedrà altri protagonisti. A Vicenzo Comito il compito, ad esempio, di illustrare come l’annunciato Trans Pacific Partnership (Ttp) tra Stati Uniti e Europa non è solo espressione della volontà di Washington di ristabilire una pericolante egemonia sul vecchio continente, ma va interpretato proprio come una forma specifica di capitalismo «estrattivo» che vede nella proprietà intellettuale, nella formazione e nella conoscenza i suoi punti di forza. a Michael Hardt il compito di introdurre la discussione sul sindacalismo sociale a partire dalle mobilitazioni turche e statunitensi.
Il docente e ricercatore italiano Giuseppe Cocco, che insegna da molti anni in Brasile, parlerà invece delle mobilitazioni dei mesi scorsi nel paese carioca: mobilitazioni espressione dell’esaurirsi o di un rallentamento della spinta propulsiva del «Rinascimento latinoamericano». Un programma denso – consultabile nel sito Internet www.euronomade.info -, che, come sostengono gli organizzatori nel documento di presentazione, è sì «costituente», ma anche capace di indagare la situazione di «stanca» dei movimenti sociali. Magari andando alla radice del problema. In fondo, perché non riflettere sul fatto che dopo l’esaurirsi della forma-partito, occorre fare i contro con la crisi della forma-movimento come momento privilegiato dell’azione politica.