Cartelli da inventare, striscioni da scrivere, dettagli logistici da sistemare, Non una di meno è arrivata all’appuntamento con l’emozione di chi si prepara a lungo per poi andare in scena.

Perché lo sciopero dell’8 marzo non è soltanto un momento di sottrazione da ogni forma di lavoro, ma anche un modo per riappropriarsi dello spazio pubblico e invaderlo con una marea di corpi imprevisti.

E questo è successo ieri a Milano, a partire dalle 9 del mattino quando Non una di meno si è unita alle lavoratrici di Condé Nast in sciopero poiché l’azienda ha scelto proprio l’8 marzo per mettere 5 di loro in cassa integrazione a 0 ore. Dopo la chiusura di 4 testate questa estate, infatti, Condè Nast si è rifiutata di ricollocare le giornaliste: 5 su una redazione di 103 persone.

Alla solidarietà delle colleghe e dei colleghi si è aggiunta quella Non una di meno, che ha dato corpo al #wetoogether in un presidio fuori dall’azienda che si è trasformato in un piccolo corteo che ha raggiunto il concentramento delle studenti e del mondo della formazione.

Nel corso della mattina migliaia di giovani ragazze (e ragazzi) hanno attraversato in corteo il centro di Milano, blindato per l’arrivo dei tifosi dell’Arsenal. Le studenti (ma non solo) hanno circumnavigato transenne e divieti con rabbia ed allegria per denunciare l’impianto sessista della cultura che si insegna a scuola e per rivendicare la propria autodeterminazione. In queste settimane Non una di meno ha incontrato moltissime scuole milanesi per raccontare dello sciopero, del Piano femminista, della violenza di genere e in ogni scuola abbiamo visto accendersi l’interesse delle molte (e molti) che si sono sentiti chiamati in causa in prima persona: abbiamo raccolto storie di molestie durante l’alternanza scuola lavoro, di fidanzati gelosi che controllano i telefoni, di rientri a casa di notte allungando l’orecchio ai passi dietro di sé. Questi racconti ci testimoniano del permanere del sessismo e del patriarcato, ma la piazza piena di ieri è la rappresentazione migliore di una reazione che sa farsi collettiva e dirompente.

Il corteo si è concluso al parco della Guastalla, complice anche il primo sole dopo molti giorni, con un pranzo in solidarietà con le lavoratrici delle pulizie del Grand Hotel et de Milan che da mesi sono in lotta per denunciare le loro condizioni di lavoro. L’hotel, infatti, ha esternalizzato le pulizie e l’Hiv che ha vinto un appalto al ribasso impone alle lavoratrici di pulire 10/12 stanze nel tempo in cui ne pulivano 8 e se non riescono a farlo le obbliga a straordinari non pagati. Una forma contemporanea di cottimo a cui si aggiunge la totale assenza di pause (a parte 30 minuti non pagati per mangiare).

Mentre scrivo non so come si concluderà la giornata e come sarà il corteo della sera, ma anche solo a partire dalle connessioni e gli intrecci di solidarietà della mattina si può dire che la marea continua. E anche le numerose polemiche sull’adesione allo sciopero da parte delle lavoratrici e dei lavoratori dei trasporti non fanno che confermare la necessità di uno sciopero femminista. Da più parti, infatti, si è ribadito che lo sciopero dei trasporti penalizza le donne, mettendo in luce come il carico del lavoro di cura rimanga sulle loro spalle, ma anche come sempre più spesso i lavori precari costringano le donne a spostamenti frenetici. Certo, il primo sentimento che emerge da queste polemiche è quello del disagio causato dallo sciopero, ma penso che le piazze piene di questo 8 marzo lo trasformino in voglia di esserci al prossimo, per riprendersi il proprio tempo e spostarsi nella città al proprio ritmo.

Non una di meno, in fondo, è una grande danza collettiva in cui ognuna trova il suo passo in una direzione comune: inseguire il proprio desiderio per essere vive e felici.

* Non una di meno Milano