Ci sono autori che attingono l’ispirazione da una vita ricca di avventure e di emozioni. Altri che la cercano tra polverosi scaffali ricolmi di opere bizzarre ed erudite. La riservata poetessa di Cracovia, premiata nel 1996 con un Nobel che scherzosamente i suoi amici definivano «la tragedia di Stoccolma» per lo scompiglio che aveva portato nella sua tranquilla vita, non apparteneva certamente né al primo, né al secondo tipo.
Eppure, sfogliando Come vivere in modo più confortevole Altre «Letture facoltative» (a cura di Luca Bernardini, traduzione di Valentina Parisi, Adelphi, pp. 258, euro 14,00), viene da pensare che non ci sia stato, forse, scrittore più «libresco» di lei, benché in un senso assai diverso dall’accezione comune, deteriore, del termine. Szymborska viveva in uno spazio letterario misto, una speciale democrazia dei libri in cui un Abc dell’eleganza maschile, un dizionario di sigle e abbreviazioni o una biografia di Benny Hill godevano degli stessi diritti delle Odi di Orazio, dei Saggi di Montaigne e delle Affinità elettive di Goethe. O dei Diari del suo amato Thomas Mann, che in una poesia aveva definito con stupita ammirazione come un «mammifero con la mano prodigiosamente pennuta d’una Waterman».
Le presenti «altre letture facoltative», come già le Letture facoltative pubblicate sempre da Adelphi, sempre nella ottima traduzione di Valentina Parisi, un decennio prima, ce la mostrano appunto come un’infaticabile cacciatrice di avventure di lettura, raffinata ma non schizzinosa, un homo ludens che si dilettava in egual modo di frequentazioni letterarie highbrow e lowbrow, spinta unicamente dalla passione per «il più bel passatempo escogitato dall’umanità».
Lo dimostrano anche i numerosi italica inclusi nella raccolta: si va da una biografia di Paganini alle antiche novelle italiane, da una monografia su Bona Sforza alle memorie di Marcello Mastroianni e di Beniamino Gigli, passando per Casanova, Stradivari, un «libriccino sciocco ma onesto» di Laura Lorenzo sul potere curativo delle pietre ornamentali e Cagliostro raccontato da Roberto Gervaso. «Non ricordo di aver mai scartato i libri peggiori a favore dei migliori, e lo si vede ancora oggi» – dichiarava all’amica e critica Teresa Walas.
«Scrivo le Letture facoltative perché ritengo che perfino il libro peggiore in assoluto possa aiutare a riflettere in un modo o in un altro: magari perché è pessimo, o magari perché il tema sarebbe anche interessante, ma è venuto male. Nella mia vita di lettrice c’è sempre stata una gran confusione». Ed è di Walas la sagace definizione, ripresa da Luca Bernardini nella postfazione, dell’autrice come «mantide» all’interno di un’immaginaria tipologia dei lettori: come la mantide si accoppia con il maschio e poi lo divora, così anche del libro con il quale la poetessa si «accoppia» per fecondare la propria intelligenza non rimane spesso altro se non ciò che lei stessa ne ha scritto nei suoi elzeviri: «Mi interessano i libri di scienze naturali, di storia, di antropologia. Leggo i dizionari enciclopedici, i manuali, le monografie. Una volta mi prendo un libro sulle farfalle o sulle libellule, un’altra volta un manuale su come rimbiancare casa, un’altra volta ancora scelgo un manuale scolastico» precisava in una delle sue prime e rare interviste.
E quando le veniva chiesto come mai, anziché scrivere di letteratura come fanno in genere gli autori seri, prestasse la sua penna a scrivere di opere divulgative, rispondeva: «Le pubblicazioni di questo tipo non finiscono mai né bene né male, ed è soprattutto per questo che mi piacciono».
I testi da cui prendono le mosse questi suoi elzeviri – simil-recensioni di un unico capoverso dedicate a libri normalmente trascurati dai recensori di professione, che la poetessa iniziò a scrivere nel 1967 quando, per motivi politici, fu degradata a semplice collaboratrice della rivista di cui dirigeva da un quindicennio la sezione di poesia – sono però casuali solo in apparenza: in realtà rispondono a un meccanismo di selezione spietato e tutto soggettivo, e non è un caso che proprio alle «Letture facoltative» le sue biografe Anna Bikont e Joanna Szczesna abbiano attinto a piene mani per descriverne gusti, opinioni, abitudini.
Szymborska «nei suoi elzeviri, così come nelle sue poesie, si schiera dalla parte delle cose perdute e trascurate», notava il critico Tadeusz Nyczek; elzeviri e poesie che, al lettore che ben conosca queste ultime, appariranno collegati gli uni alle altre da fitte trame intertestuali, che si muovono peraltro lungo una direzionalità non univoca, tale per cui talvolta la «lettura» precede la poesia sullo stesso argomento, come nel caso di quelle ispirate a Ella Fitzgerald o a Jan Vermeer, talaltra la segue, come nel caso di quelle sul fenomeno del terrorismo. E al di là dei fili che legano testo a testo, la cosa forse ancora più interessante è che nelle «letture» ritroviamo determinate caratteristiche della scrittura poetica szymborskiana, determinati atteggiamenti e temi dei suoi versi.
«Letture» e versi rappresentano un qualcosa di molto coerente, non di separato. Ritroviamo per esempio nelle «letture» la stessa ironia che si scaglia contro le ideologie astratte, contro la sicumera dell’uomo impegnato sulla via del progresso a progettare e costruire la civiltà, che denuncia il legame fra principi ideali e distruzione. Troviamo insomma l’ironia e lo scetticismo verso le Idee – fossero anche politically correct come il femminismo o il vegetarismo – della migliore poesia di Szymborska, quella «pensosa leggerezza» che era la formula nella quale Pietro Marchesani racchiudeva la cifra della poesia szymborskiana.
E molti sono i brani semplicemente divertenti, «uno spasso», come le considerazioni di «fisiognomica letteraria» ispirate dall’apparato di illustrazioni di un Piccolo dizionario degli scrittori di tutto il mondo: «Balzac sembra un oste, Joyce il contabile di un’impresa di pompe funebri, Eliot il direttore di una clinica psichiatrica…Goethe assomiglia come una goccia d’acqua a mia nonna…Assolutamente fuori concorso è invece Ibsen, che pare l’allucinazione di un barbiere in preda alle febbri terzane».
Una delle prime «letture facoltative» che Szymborska ha scritto terminava con la pointe seguente, dov’era racchiuso scherzosamente il suo ideale di libro: «Ecco un libro che vale la pena di leggere prima di addormentarsi. È abbastanza interessante per distrarre il pensiero dai crucci del presente, ma sufficientemente soporifero perché scivoli di mano al momento opportuno». Mentre Chopin sofferente e ormai moribondo che non si lamenta mai e persino nell’ultima lettera alla sorella si sforza di assumere un tono frivolo – «Il mio capriccio oggi è di vedervi qui…» – per invitarla ad accorrere al suo capezzale ricorda tanto l’ultima poesiola scherzosa di Szymborska, composta poco prima di morire: «Gli olandesi sono un popolo saggio (perché sanno cosa occorre fare / quando s’affievolisce il naturale respiraggio».
Nel frattempo in Polonia è uscita la raccolta completa delle oltre cinquecento «Letture facoltative» scritte dalla poetessa tra il 1967 al 2002. Ci sono ancora tanti piccoli capolavori di intelligenza e spirito che attendono di essere conosciuti dal lettore italiano.