I partiti hanno quattro giorni per sbloccare la situazione. Poi a prendere l’iniziativa sarà il capo dello Stato. Sergio Mattarella, al termine del secondo giro di consultazioni, dopo aver incontrato ieri Napolitano e i presidenti delle Camere, è stato come al solito laconico. «Il confronto tra i partiti non ha fatto progressi»: questo è «emerso con chiarezza». Le emergenze che richiedono al più presto «un governo nel pieno delle sue funzioni» sono parecchie. Il presidente le ha enumerate tutte, sia pur per titoli. Conclusione: «Attenderò alcuni giorni, trascorsi i quali valuterò come procedere per uscire dallo stallo».

IL CONTENUTO DEL MESSAGGIO era previsto. I toni un po’ meno. Sono stati più drammatici di quanto ci si attendesse. Si è avvertita un’urgenza decisamente maggiore, solo in parte dovuta al rischio di trovarsi con una guerra sotto casa e senza nessuno al timone. Significa probabilmente che, se anche quest’ultimo appello cadrà nel vuoto, il presidente procederà con una marcia forzata, facendo a meno di alcuni passaggi che erano invece considerati probabili.

Ma prima di tutto bisognerà verificare se realmente i partiti non sono in grado di avviare una dialogo costruttivo da soli. In politica non bisogna mai dire mai, tanto più che domenica Salvini e Di Maio saranno entrambi a Verona per l’inaugurazione di Vinitaly e potrebbe scapparci un incontro. Però in questo caso le probabilità di successo sembrano davvero esigue. Ieri, dopo la staffilata di Mattarella, tutti hanno confermato le rispettive posizioni. Berlusconi è stato tassativo: «Io non prendo ordini da Di Maio. Che qualcuno dica ’tu sì, tu no’ in democrazia non è accettabile». Salvini è stato sbrigativo: «Ci sono i due veti contrapposti di Fi e M5S. Se continuano a bisticciare si stancheranno gli italiani, mi stancherò io e si torna a votare». Di Maio non si è esposto, ma al suo posto è arrivato a incalzarlo, rendendo palese la divisione tra i 5S, l’«esule» Di Battista: «Ieri Salvini pareva Dudù. Muoveva la bocca ma il ventriloquo era Berlusconi, che in nessun altro Paese avrebbe ancora questo potere». Tanto per rendere più facile la missione dell’amico.

DIVIDERE SALVINI da Berlusconi si è già rivelato impossibile. Almeno per questa fase i due sono una coppia fissa, con tutti i loro siparietti e i reciproci sgambetti. Il miraggio di una ritirata spontanea del cavaliere si è dissolto con lo show in un Quirinale trasformato per l’occasione in palcoscenico. Salvo miracoli, mercoledì prossimo le carte sul tavolo di Sergio Mattarella saranno esattamente quelle che erano ieri, le stesse della settimana precedente. A quel punto il presidente darà l’incarico, ma con un mandato limitato. Comunque la si chiami sarà un’esplorazione.

A chi toccherà la missione di esplorare? Non al leghista Giorgetti, nome su cui puntano quanti, Berlusconi incluso, sperano in un ripensamento del Pd o almeno dell’ala renziana. Mattarella lo sceglierebbe, anche solo per il pre-incarico, esclusivamente se avesse la certezza di successo e non succederà. Dovrà quindi scegliere tra uno dei due presidenti delle Camere, e in questo caso la presidente del Senato Casellati avrebbe qualche chance in più, o uno dei due candidati che continuano a proclamarsi vincitori, e in questo caso si tratterebbe di Salvini, avendo il centrodestra un numero maggiore, pur se insufficiente, di seggi. Dato e non concesso che Salvini accetti. Non ci si può neppure giurare: ancora ieri ripeteva che «la caccia al tesoro è per i bambini: chiedere di cercare voti che non ci sono mi sembra inutile».

IN OGNI CASO L’ORIENTAMENTO di Mattarella, almeno per ora, sembra quello di limitare le esplorazioni a un unico tentativo. Di strada praticabile ce n’è una sola: quella dell’accordo M5S-Lega, con o senza Fi. Se quella strada è chiusa, poco importa che a riferirlo, dopo opportuna esplorazione, sia un leader di partito o un alto rappresentante delle istituzioni.

Se il responso del pre-incaricato, o esploratore che sia, sarà pollice verso, Mattarella dovrà giocare la carta del governo del presidente. Di certo non lascerà nulla di intentato per evitare elezioni a ottobre. Ma persino quell’extrema ratio si profila incerta. Salvini lo ha bocciato di nuovo ieri: «Un governo tutti insieme, per tirare a campare o solo per la legge elettorale se lo fanno senza la Lega». Di Maio lo aveva fatto già subito dopo la consultazione. Al Quirinale si preparano giorni difficilissimi.