L’allarme è serio e documentato, e va preso in seria considerazione non solo perché proviene da centri studi specializzati ma soprattutto perché, a leggerlo con occhi politici, ci dice che il nostro paese ha un fortissimo spread che si chiama criminalità organizzata, anzi, per essere più precisi, ‘ndrangheta, considerata in questo momento una delle più potenti, se non la più potente organizzazione criminale del mondo, leader nel traffico della cocaina, con ramificazioni in Europa e, questa la vera novità, un ruolo dominante in centro e in Sudamerica, in particolare in Brasile che in questo momento è il principale hub di smistamento della cocaina.
L’occasione è un convegno promosso da Link Campus University, presieduta da Vincenzo Scotti, insieme a Criss (Consortium for Research on Intelligence and Security) e il centro studio Gino Germani, sulla nuova alleanza tra la ‘ndrangheta e i cartelli sudamericani del narcotraffico.
Converrà partire da qualche numero per comprendere l’entità del fenomeno: il traffico di cocaina produce circa 500 miliardi di dollari di profitto annui; il complesso dell’economia criminale rappresenta circa il 3% del Pil mondiale, il 10% in Italia. I numeri sono noti, ma la novità sta nell’approccio, nella lettura geopolitica dell’espansione criminale in Italia e nel mondo. «Anni di prevalenza dell’attenzione al terrorismo islamico hanno fatto passare in secondo piano la minaccia globale che sorge dal legame tra politica e criminalità organizzata, che controlla partiti, mezzi di comunicazione di massa, organizza, al pari di alcune organizzazioni terrroristiche, anche azioni filantropiche. Insomma tende a conquistare lo stato o comunque a infiltrarsi in esso», sostiene il professor Luigi Sergio Germani. In alcuni casi le mafie arrivano persino, con terribile e pirandelliana astuzia, a infiltrarsi nei movimenti antimafia. «L’approccio fondato esclusivamente sull’ordine pubblico», afferma Rosario Aitala, consigliere del presidente del Senato, «è insufficiente poiché le mafie, esercitando il dominio su un territorio, agiscono da soggetto geopolitico, erodendo lo spazio di sovranità degli stati. La pecularietà del modello mafioso italiano sta nel fatto chein Italia la mafia non vuole sostituirsi allo stato ma se ne serve per estendere il proprio potere».
Inoltre, mentre altrove le organizzazioni criminali non sopravvivono alla morte del capo, in Italia la mafia permane nel tempo e si trasmette attraverso riti di affiliazione che, a prescindere dall’aura tradizionalista, sono un modo assai efficace di proteggere la natura segreta dell’organizzazione. Il vincolo di sangue è particolarmente forte nella ‘ndrangheta, la cui forza sta nella natura più democratica e meno centralizzata del comando rispetto a Cosa Nostra. Le ‘ndrine si rapportano in modo più orizzontale: ognuna di loro ha una propria proiezione, sia a livello nazionale che globale. Il rapporto non viene intermediato dalla Cupola, ma è diretto. Ogni “locale”, sia esso in giro per l’Italia che nel mondo, fa sempre riferimento a una delle ‘ndrine della provincia di Reggio Calabria.
Insomma, la ‘ndrangheta ha saputo coniugare tradizione e modernità, facendo dei propri “arcaismi”, per esempio il legame di sangue e l’obbedienza, un fattore di vantaggio rispetto a mafia e camorra, per cui essa viene ritenuta assai più affidabile dai produttori di cocaina, di cui è la principale spacciatrice su scala mondiale. Il nonno, magari, vive ancora in qualche sparuta casupola dell’Aspromonte, circondato da rispetto e omertà, parla solo il dialetto e non sa usare il computer, ma il nipote è magari un australiano di seconda generazione che parla inglese e calabrese, si è laureato, conosce i segreti della finanza e si muove come un manager nel mondo del traffico di droga. Mai, però, perderà il rapporto con le origini, perché è da lì che viene il suo carisma criminale, la sua affidabilità. Ecco perché, pur essendo globale, la ‘ndrangheta ha bisogno assoluto di essere anche locale.
Credo che la modernizzazione della ‘ndrangheta cominci negli anni ’70, con gli appalti per la costruzione del Porto di Gioia Tauro divisi tra le ‘ndrine. Ma oggi c’è un salto di qualità: la ‘ndrangheta è stata la più veloce a diventare glocal, mantenendo però ben saldi i piedi nel proprio territorio, dove piega lo stato ai propri interessi. La mafia è «liquida» perché sa infilarsi in ogni piega della globalizzazione, ma è solidissima è spietata nel controllo del territorio, del quale ha bisogno per esercitare il proprio dominio e controllare le vie dei propri traffici. Come ha bisogno ancor più di ieri del legame con la politica per sviluppare i propri affari. E qui dovrebbe tornare in campo la politica perché, come dice Enzo Scotti, «la criminalità rappresenta il primo e maggiore pericolo per la stabilità e la democrazia».