A Juan Carlos di Borbone è riuscita anche l’ultima mossa. L’ormai ex re ha fatto un passo indietro un attimo prima di essere travolto dagli inesorabili e sempre più evidenti acciacchi dall’età e dagli scandali che continuano a minare la credibilità della corona. Ha capito che per sopravvivere politicamente era arrivato il momento di passare la mano. È scongiurato persino il rischio che, con la perdita dell’inviolabilità che la costituzione spagnola gli garantiva, potesse affrontare la giustizia – per le varie cause di paternità o per dover chiarire alcuni suoi affari personali. Il governo Rajoy, infatti, appoggiato dalla compiacenza socialista, ha già pronto un decreto per estendere l’inviolabilità anche una volta perso lo status di monarca.

Nel frattempo, la quasi totalità dei media ha fatto sfoggio in queste due settimane della più melensa retorica per lodare senza un briciolo di senso critico sia il vecchio, sia il nuovo re. Tanto per dare un’idea del tipo di “analisi” fatte sulla chiusura di questa fase storica, El País ieri è arrivato a intitolare un articolo dedicato alle persone che hanno conosciuto il re con un “Nei momenti duri in mare, don Juan Carlos si rimboccava le maniche”. Persino il settimanale satirico Jueves, è stato schiacciato dal patto di non aggressione verso la monarchia: la settimana scorsa, l’editore – la Casa reale ha smentito interferenze – ha autocensurato una copertina (peraltro abbastanza innocua) che ritraeva un re che passava una corona piena di escrementi al figlio ritirando sessantamila esemplari già stampati.

Provocando l’immediata dimissione di un gruppo di veterani disegnatori e minando per sempre la credibilità della storica rivista.

Intanto Felipe, 46 anni, terzogenito di Juan Carlos e di Sofia di Grecia, era già re alla mezzanotte di mercoledì, nel momento in cui è entrata in vigore l’ultima legge firmata da Juan Carlos, quella che consentiva la sua stessa abdicazione. La legge, approvata in tempi di record dalle Cortes con la maggioranza del 90%, è stata siglata in una solenne cerimonia mercoledì alle 18. Peccato che i partiti che puntellano il sistema in piedi dalla fine della dittatura, il Pp e il Psoe, ormai rappresentano meno della metà della popolazione.

Ma the show must go on – e, nonostante le manifestazioni a favore della repubblica che si sono susseguite in questi giorni, e alle proteste di Izquierda Unida, Iniciativa Catalunya Verds, Esquerra Republicana e i baschi di Amaiur, la macchina accuratamente preparata dalla Casa reale in combutta con Mariano Rajoy e Alfredo Pérez Rubalcaba è andata avanti senza intoppi. Come nella migliore tradizione medievale, il comune di Madrid ha tappezzato le strade per dove sarebbe sfilato il re di bandiere spagnole, e ha persino fatto sostituire le panchine come in un film di Berlanga. Ieri, giorno dell’incoronazione, sono state proibite le manifestazioni repubblicane (tre arresti per aver mostrato bandiere repubblicane durante la sfilata reale) e chi vive e lavora nelle zone del corteo reale è stato schedato.

Dopo aver giurato sulla costituzione, Felipe ha parlato davanti alle Camere riunite in seduta comune (assenti i rappresentanti dei partiti repubblicani, ma presenti significativamente i presidenti di Catalogna e Paesi Baschi), con 3 ex presidenti del governo viventi, le comunità autonome, la famiglia reale, comprese le figlie del nuovo re e la moglie, la giornalista Letizia Ortiz. Mancava solo Juan Carlos, per dare tutto il protagonismo al figlio – ha fatto sapere.

Una cerimonia molto diversa da quella di 39 anni fa, a pochi giorni dalla morte di Franco, che aveva dichiarato erede Juan Carlos, saltando una generazione di Borbone. Allora al giuramento di fedeltà ai principi del franchismo era seguita una messa.

Le parole del nuovo re (vestito in alta uniforme), avvolte dalla solita retorica di queste situazioni, hanno fatto trasparire qualche timido segnale di cambiamento: ha parlato di “una monarchia rinnovata”, dalla condotta “integra, onesta e trasparente”, di “modi diversi di sentirsi spagnoli”, di “unità ma non uniformità”, di difesa delle lingue co-officiali che formano “un patrimonio comune” (anche se l’unica parola che ha pronunciato in galiziano, catalano e basco è stato un “grazie” alla fine), di cittadini “feriti nella dignità come persone” dalla crisi. Nonostante il dispiegamento di forze dell’ordine, le strade di Madrid erano semivuote. Vedremo se il primo re laureato della storia spagnola saprà condurre il paese a una nuova fase storica. Che magari terminerà mandandolo a casa.