Sebbene meno noto ai lettori italiani di altri autori danesi, Herman Bang è uno dei capisaldi della «moderne Gennembrud», l’«irruzione del moderno» patrocinata dal critico letterario Georg Brandes: una letteratura improntata ai modelli naturalistici e mirata a una critica tanto dell’idealizzazione del romanticismo quanto dell’eccessivo ottimismo della visione positivista.
Di Bang l’editore Federico Tozzi ripropone ora Lungo la strada (traduzione di Eva Kampmann, pp. 219, euro 14), romanzo breve – o racconto lungo, in origine incluso in una raccolta del 1886 dal titolo Stille Eksistenser, Vite silenziose (già uscito nel 1989 per Guanda).

In Danimarca questo titolo è inserito nel cosiddetto «canone culturale» compilato nel 2006 su sollecitazione dell’allora ministro della Cultura (operazione peraltro non esente da critiche per via del suo presupposto nazionalista, ovvero la difesa dei valori tipici danesi di fronte a un’ipotetica invasione di modelli stranieri): un elenco di 108 opere di otto categorie diverse, dal cinema al design, dalla musica al teatro, alla letteratura, che raccoglie il meglio della produzione artistica e culturale della Danimarca, dalle origini ai giorni nostri.

IN VITA, AL CONTRARIO, Bang ebbe grande difficoltà a farsi accettare dalla scena culturale danese, sia per i tratti decadenti che venano la sua scrittura, per quanto fondamentalmente naturalistica, sia, e forse soprattutto, per la sua omosessualità non abbastanza dissimulata per i tempi. Le difficoltà centrate su personaggi oppressi e tormentati: lo è la protagonista di Lungo la strada, una sorta di elegiaca Madame Bovary boreale. Giovane donna dall’indole pacata, incline alla contemplazione – a perdersi in pensieri che «come i fili di una ragnatela, la immobilizzavano trasformandosi in sogni che la portavano lontano, verso mete quasi ignote» – Katinka ha sposato il sanguigno capostazione Bai, amante del buon cibo, delle compagnie rumorose e, se potesse fare a modo suo, delle «donnine» di città.

LE LORO GIORNATE trascorrono placide, scandite dai treni in arrivo e in partenza e dalle visite dei rari vicini di casa, tra cui la figlia del pastore, la vivace e anticonformista Agnes, e la vedova Abel con le sue due «gallinelle» in cerca di marito. A rompere quell’effimero equilibrio è l’arrivo del nuovo fattore della vicina tenuta agricola: il timido, rassicurante, premuroso signor Huus, con cui Katinka trova così facile intendersi.
Nell’inevitabile amore tra i due non c’è niente della passione spumeggiante o delle fantasticherie mondane di Emma Bovary, solo la nostalgia per qualcosa di solido che avrebbe potuto essere e non è né sarà. Ma questa nostalgia finisce per trasformarsi in una cupezza cosmica di dimensioni quasi leopardiane. Di fronte all’ineluttabilità e all’irrealizzabilità del suo sogno, Katinka si ritrova a chiedersi: «In fondo che le restava? Un senso di grigio, di tormento e di infinita desolazione – nient’altro. Indugiò a lungo. Immaginò quella che sarebbe stata la sua vita d’ora in poi e le parve che la sommergesse: un’unica, inimmaginabile ondata di disperazione».

BANG NON È TUTTAVIA autore dal quale ci si possa spettare che la disperazione sia banalmente legata a un amore infelice: la rappresenta, invece, come pervasiva, connaturata all’esistenza umana, che si incarni in una vecchia zitella aggrappata all’affetto per il suo carlino, in una madre di famiglia la cui giovanile gioia di vivere è stata prosciugata da figli, marito e pensionanti maleducati, o perfino in un vecchio sporcaccione lasciato indietro dai tempi, e dagli anni. Per tutti loro, i ricordi trasformati in rimpianti diventano una zavorra che impedisce di vivere, come se ci si portasse addosso «una grossa sanguisuga attaccata al cuore». Forse grazie al profondo amore dell’autore per la madre, ritratta splendidamente in un altro dei suoi brevi romanzi, La casa bianca (Iperborea 2012) una attenzione speciale è dedicata ai (tristi) destini femminili: «Noi ‘donne’ di possibilità ne abbiamo ben poche. Nei primi venticinque anni della nostra esistenza danziamo di qua e di là in attesa di sposarci – e negli ultimi venticinque anni ce ne stiamo sedute in attesa di essere seppellite», osserva la figlia del pastore, anch’essa vittima di un amore infelice.

MA NON TUTTO è grigia disperazione, in questo breve e denso romanzo: Bang alterna al quieto dramma di esistenze minori, improvvisi sprazzi di umorismo quando deride i vezzi della vedova benpensante a caccia di un marito per le figlie o i notabili di paese in cerca di esperienze forti in città, complice e affettuoso quando sorride delle piccole manchevolezze della vita familiare.
Nella scrittura impressionista di Bang, capace di ricreare con pochi tratti personaggi vivi così come di dipingere briose scene di interni, si alternano laboriose preparazione delle vettovaglie per il pic-nic, giochi e riti del pranzo di Natale, a delicati paesaggi di campi arati a perdita d’occhio, e file di abeti che costeggiano la strada, in una lingua elegante e precisa, resa con maestria da una traduzione che riesce a trasmetterne il sapore antico senza cadere nei tranelli del manierismo.