Sulla Lucchini parole tante, fatti pochissimi. Per il secondo gruppo siderurgico italiano dopo l’Ilva, anch’esso in amministrazione straordinaria, dal governo “del fare” ci si aspetterebbe molto di più dell’attuale prospettiva di uno spezzatino. Cioè della (s)vendita separata dei quattro stabilimenti di Piombino, Servola di Trieste, Lecco e Condove. In quest’ultimo sito del torinese i 94 addetti hanno fatto anche ieri un presidio di protesta, fianco a fianco con il sindaco, per denunciare che la strategia abbozzata dal commissario Nardi sarebbe una doppia sciagura per loro, visto che nessuno dei possibili acquirenti è interessato al laminatoio dove lavorano.

Al dramma che vede come incolpevoli protagonisti gli operai piemontesi, si accompagna quello – di ben altre proporzioni – delle duemila tute blu toscane della Lucchini. Le Acciaierie di Piombino sono alla canna del gas. I manager governativi non stanno più ordinando le materie prime per continuare la produzione, e i magazzini si stanno progressivamente svuotando per le ultime consegne prima dello stop definitivo.

In questo contesto, l’odierno sciopero di sole tre ore proclamato da Fiom, Fim e Uilm appare una risposta quasi ordinaria. Fin troppo “morbida”, rispetto alla devastante portata sociale che la chiusura della Lucchini avrebbe per l’intero comprensorio della Val di Cornia. Dove sulla filiera siderurgica si è sviluppato un robusto indotto, alimentato dalle Acciaierie e dagli altri due stabilimenti, anch’essi in crisi, targati Magona-Arcelor e Tenaris-Dalmine.

Eppure la chiamata a raccolta di Fiom & c. per la manifestazione di oggi, con partenza alle 9,30 dal cavalcavia Caduti sul Lavoro che domina la grande cittadella dell’acciaio, non fa sconti al governo Letta: “La situazione è grave, il commissario Nardi vuole chiudere l’area a caldo e spegnere l’altoforno il 30 settembre. Una strategia da irresponsabili”. In risposta, i sindacati chiedono l’avvio di una sinergia con l’Ilva di Taranto, per realizzare 500mila tonnellate di bramme (semilavorati da lavorare a caldo per fare lamiere), permettendo così di tenere acceso l’altoforno e, almeno per qualche tempo, mandare avanti la fabbrica. Intanto un altro pezzo di Lucchini ha già trovato padrone: il gruppo cremonese Arvedi è sul punto di rilevare, con un contratto di affitto, l’attività della Ferriera di Servola di Trieste, continuando la produzione di ghisa.