Sotto il cielo livido della campagna inglese – reso ancora più plumbeo dalla fotografia bluastra di Joshua James Richards – c’è la fattoria di famiglia di John, giovane allevatore che vive con la nonna e il padre (la madre è fuggita molto tempo prima) e ogni sera si sbronza al pub del paese più vicino. Protagonista di La terra di Dio – film d’esordio del regista inglese Francis Lee – John è scisso fra l’insofferenza per il suo orizzonte ristretto e l’amore per il lavoro che gli è stato tramandato.

A creare ulteriore scompiglio nella sua esistenza è l’arrivo di Ghorghe, ragazzo rumeno venuto a dare una mano per il periodo della nascita degli agnellini. Insieme a Gheorghe nel film comincia a filtrare la luce: il cielo si apre sulla storia d’amore che nasce fra i due ragazzi. Quasi una versione non mèlo, meno glamour e ambientata ai giorni nostri – dove grande importanza ha anche l’ attenta osservazione di un lavoro sempre più appannaggio solo delle grandi aziende intensive – di quella raccontata da Brokeback Mountain.