Chi ha avuto la pazienza di aspettare la fine de I soliti ignoti nella versione speciale abbinata all’estrazione dei biglietti Lotteria Italia, lo scorso 6 Gennaio, si spera che abbia vinto qualcosa, almeno il premio di consolazione da ventimila euro, perché in quanto a spettacolo… Va bene che si è in epoca di risparmi e ristrettezze, va bene che la trasmissione ha successo, che si deve fare pubblicità al film in uscita, ai personaggi legati alla Rai, va bene che quando un programma funziona è normale sfruttarlo, ma visto che dovevano distribuire circa dieci milioni di euro, non potevano regalare agli spettatori uno spettacolo un po’ più degno dei fasti di un tempo?

Se una volta alla Lotteria Italia erano abbinate trasmissioni come Canzonissima, con cantanti che hanno fatto storia in Italia, nell’ultima versione ci sono toccati Pupo con la sua chitarra e Iva Zanicchi, che non ha più la voce di un tempo e ha intonato un cavallo di battaglia di altrissimi tempi, Zingara. Più che una serata tutta premi e cotillon sembrava la sagra dell’oratorio, una tombola fatta in famiglia, un «Vieni anche tu che ci divertiamo a strimpellare qualche cosa».

I soliti ignoti è uno dei quiz più guardabili della Rai. A differenza del defunto Affari tuoi, conosciuto anche come il gioco dei pacchi dove contava solo il colpo di chiulo, I soliti ignoti, che piaceva anche a Umberto Eco, richiede ai concorrenti intuito, un minimo di strategia, capacità di depistare indizi spesso depistanti, scansare le apparenze. È pure un gioco un po’ bastardo perché, anche se arrivi alla fine con un buon gruzzolo, la maggior parte dei concorrenti perde tutto perché indovinare il grado di parentela del parente misterioso è davvero difficile. Insomma, è un gioco non cretino e perfetto per chi vuole disintossicarsi dalle notizie, spesso sconfortanti, del telegiornale, ma da qui a farne un programma da gran sera ce ne corre.

Quando la Rai produceva del vero spettacolo e alla Lotteria abbinava Canzonissima, si vedevano in gara per settimane cantanti come Mina, Celentano, Gianni Morandi, Massimo Ranieri, Patty Pravo, Caterina Caselli, Gino Paoli, Luigi Tenco, Modugno. Il coreografo per molte edizioni fu Don Lurio, il regista di anni memorabili Antonello Falqui, vi lavorarono autori come Garinei e Giovannini, Terzoli, Vaime e Verde, fra i conduttori vi fu gente come Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Delia Scala con Paolo Panelli e Nino Manfredi, Dario Fo e Franca Rame (che abbandonarono per non sottostare alla censura), Alberto Lupo. Infine, Canzonissima lanciò le gemelle Kessler e Raffaella Carrà.

Le prime stendevano gli spettatori con la loro statuaria e algida bellezza, la seconda fece capire che si poteva osare quando nel 1970 mostrò l’ombelico e, nel 1971, interpretò il Tuca Tuca (mitica è rimasta la versione con Alberto Sordi). È vero, la televisione di allora era per molti aspetti codina e iper democristiana, felpata e prudente, controllane e censoria. Ma è anche vero che per altri aspetti sapeva costruire trasmissioni che hanno aiutato l’Italia a uscire dal provincialismo, dall’analfabetismo, e qui mi riferisco a Non è mai troppo tardi del maestro Manzi, a conoscere il teatro con le commedie in diretta, i classici (qualcuno ricorderà l’Odissea a puntate con la lettura iniziale di Giuseppe Ungaretti), il grande cinema con serie dedicate a registi o attori e presentate da un critico.Diciamolo, oggi si potrebbe fare di più. Perché non sempre e non per tutto servono montagne di soldi, ma idee. Soprattutto, basterebbe lasciar lavorare la gente capace di farlo.

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