Qualche settimana fa, ne ho accennato recentemente, un folto gruppo di persone s’è dato appuntamento a Bologna per provare a dare vita a un coordinamento informale tra gli attori che in questi ultimi anni si sono impegnati a provare a ricreare un modello efficace per la mobilità urbana. Riassumo brevemente come si è arrivati a questo appuntamento. Il giorno stesso della bicifestazione del 28 aprile a Roma, il gruppo promotore ha cominciato a ragionare su come proseguire e dare seguito all’azione di piazza; lo sbocco naturale – e dichiarato – della chiamata a Roma era quello di fare pressione sui decisori, chiunque essi fossero, per sviluppare anche in Italia una ciclabilità moderna. Fin qui ci siamo. Come? Le opzioni erano due: tra chi diceva «ci siamo sfogati, ora continuiamo come prima» e chi invece sosteneva un innalzamento dell’asticella hanno avuto la prevalenza i secondi. Da qui l’idea di creare un gruppo di pressione che agisca in modo se non concordato quantomeno armonico, con pochi concetti ma espressi coralmente, anche in sedi separate. Esclusa quasi subito l’ipotesi di creare una super-associazione nazionale, giochetto costoso, ridondante e soprattutto poco agile (organi statutari, presidenze, assemblee e via dicendo) ci si ritrova d’accordo sul tentativo di formare un gruppo non vincolato da regolamenti e statuti ma fondato su quei pochi temi che ci trovano tutti d’accordo.

E qui casca l’asino. Nel corso degli anni, in Italia, la rappresentanza si è modificata. Per lungo tempo l’unica associazione di promozione della ciclabilità è stata la Fiab, che dagli anni ‘80 porta avanti l’esile fiaccola dei nostri temi, nel bene e nel male; dalla presa di coscienza dei singoli che si ritrovano in Critical Mass, inizio 2000, e contemporaneamente alla rivendicazione degli spazi pubblici anche come modello non solo politico in senso alto ma di stile di vita tout court, è nato il movimento Salvaiciclisti. Bike pride vari, velostazioni, momenti di riflessione a macchia di leopardo sul come viviamo le città, ma soprattutto la rinascita dal basso dell’attrezzo bicicletta hanno fatto il resto. Se ne accorge anche l’industria, con una sempre maggiore attenzione dell’Ancma, la Confindustria delle due ruote; si risveglia dal suo classico torpore perfino la Federciclismo, tradizionalmente mummificata in cose di sport, che strizza l’occhio all’utenza quotidiana.

Si arriva quindi all’appuntamento bolognese. Partecipano rappresentanti di tutte le realtà citate (tranne Fci), più altri. In tutto una trentina di persone, chiamate a raccolta dall’ex deputato Paolo Gandolfi, per unanime riconoscimento del suo ruolo svolto in Parlamento finché Renzi gli ha impedito la rielezione e per le sue indubbie qualità di moderatore, capace di far dialogare soggetti a volte distanti. Dicevo qui casca l’asino: qualche momento di distonia ha evidenziato che siamo ancora lontani dalla sintesi perfetta. Due esempi: l’industria ha mostrato di non aver ancora capito che la sicurezza di chi si muove in bici nasce da interventi forti sulle altre modalità di spostamento e crede, insieme a Fci, che la sicurezza passiva sia una risposta; altri soggetti (Ass. Mobilità Dolce) hanno una fascinazione inspiegabile per l’auto elettrica. Posizioni peraltro minoritarie. Con qualche sforzo, siamo riusciti in tre ore di discussione a trovarci d’accordo sulla necessità di unire le forze per i temi che ci trovano d’accordo tutti. Il coordinamento informale, anche se stentato e fragile, è stato avviato. Finalmente si intravede la creazione di una lobby per la mobilità moderna nelle nostre città. Una prima idea è quella di spostare radicalmente la visione dall’oggetto bicicletta o automobile al servizio generale di spostamento: dare risposte giuste alla domanda fondamentale «come faccio a muovermi meglio»? La prossima puntata tra settembre e ottobre.