Quando si parla di tifo organizzato, di ultrà, di gruppi e di striscioni, si fa riferimento in maniera del tutto naturale ad un’osmosi tra la squadra in campo e la tifoseria che la sostiene. Non è un caso che in diverse parti del mondo tra le icone più utilizzate sugli spalti ci sia quella del numero 12, richiamo diretto della partecipazione del tifo alla partita, il sostegno derivante dal «12esimo uomo in campo». L’intera squadra come rappresentante della vasta gamma di emozioni che animano la sua gente, ma al contempo è la passione di chi tifa sugli spalti ad essere sintesi di un progetto tecnico, di un apparato societario e di tutte le persone che compongono i diversi staff. Il tifo è sintesi dell’essenza stessa del pallone, poiché senza di esso l’intero meccanismo nato intorno ad una sfera di cuoio (e oggi oliato da elementi molto più materiali della semplice passione) non avrebbe ragione d’esistere.

St. Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo (DeriveApprodi, euro 17) è un libro che parla anche di questo. Marco Petroni, l’autore, è un insegnante laureato in storia che da oltre 10 anni si è calato in una delle esperienze di tifo che più di altre ha prima incuriosito e poi acceso l’interesse di tutta Europa: il St. Pauli di Amburgo, la piccola squadra dell’omonimo quartiere, casa-base di intere generazioni di punk e autonomi, di proletari che agli inizi degli anni Ottanta occuparono le abitazioni della Hafenstraße, le cui finestre fissavano il porto come occhi di vedetta.

Una scelta in controtendenza

A partire da quei giorni le strade di Sankt Pauli divennero l’emblema della resistenza autonoma e anti-fascista dell’intera Germania, registrando anche una fioritura politica e culturale che ben presto portò ad indentificare quella lingua d’asfalto come prodromo delle attuali esperienze di governo locale autogestito. Ed è proprio a partire da queste premesse che Petroni racconta l’esperienza del tifo bianco-marrone, del suo sguardo rivolto all’Italia e alle sue tifoserie sinistre, fino alla gestione associativa che durante la scalata sportiva alla Bundesliga è stato il tratto caratterizzante della società. Un modello opposto a quello inglese, con il quale invece viene spesso confuso.

L’esperienza adottata al Millerntor, nome del vecchio stadio di quartiere che richiama l’omonima porta d’ingresso usata per l’accesso in città, non è infatti quella dell’azionariato popolare, che presuppone l’acquisto da parte del tifoso delle azioni societarie e il conseguente diritto a vantare una quota nella ripartizione degli utili. In Germania e nel caso del «St. Pauli» si parla di modello associativo: i soci del club, che versano una quota annuale nelle casse societarie, ricevano un contributo in servizi da parte del club. Accesso alle infrastrutture sportive e al tempo stesso battaglie collettive contro la speculazione commerciale, un do ut des in cui il ruolo del socio esula la mera componente economica puntando invece tutto sulla modifica dell’assetto valoriale su cui si imperniava il modello societario. La nascita dell’Abteilung Fördernde Mitglieder (una sorta di «dipartimento dei soci sostenitori») è la consacrazione di questo modello alternativo proposto nei vertici del calcio tedesco: parliamo di 12mila iscritti (agosto 2014) e di 800mila euro annui ricavati dalle loro quote, ripartiti «per i tre quarti al mantenimento e lo sviluppo delle attività dedicate ai giovani della società (100mila euro utilizzati esclusivamente per l’acquisti di materiale sportivo e costruzione/ristrutturazione di centri sportivi) e per il restante quarto al mantenimento degli uffici».

La questione della gestione associativa della società calcistica è però una delle caratteristiche meno indagate e più confuse su cui la platea europea di simpatizzanti del «St. Pauli» si è nel tempo soffermata. Nella vulgata comune l’idea della tifoseria di Amburgo è sempre stata perimetrata alla sola vocazione antifascista, frutto anche dalle intramontabile resistenza al nazismo offerta dalla città di Amburgo dal 1933 e dalla peculiare insofferenza mostrata dal quartiere portuale ai rastrellamenti che ne turbavano l’intima natura. Se da un lato questo aspetto ha contribuito alla diffusione del nome del club, alla promozione della sua storia e delle sue radici, d’altro canto si è andato incontro ad una superficiale mitizzazione di un fenomeno che negli ultimi anni ha prodotto un serrato dibattito soprattutto all’interno delle stesse generazioni che diedero il via a questa esperienza oggi tanto blasonata. Oggi sono infatti molti i vecchi punk che non siedono più nella Gegengerade, irritati e frustrati dalla commercializzazione del brand e dalla mercificazione di un’esperienza che sembra aver in parte perso la propria anima, la sua piccola ma forte identità.

Eretici all’ortodossia

Ed è forse questa la chiave più interessante presente nel libro di Petroni, ovvero quella ripercorre attraverso un’indagine storica prim’ancora che socio-antropologica l’intera storia di una comunità, quella di Amburgo, che insiste ancora oggi a specchiarsi nei riflessi di una città-stato fortemente ancorata ad uno spirito anti-Deutsche. «Città libera e anseatica», Amburgo ha assimilato nel corso dei secoli le diversità più profonde delle innumerevoli culture che hanno transitato, attraversato o solo lambito il suo porto. L’appartenenza alla Lega Anseatica nel 1241, la totale autonomia nella gestione delle rotte commerciali del sale, la resistenza ad entrare nello Zollverein, l’Unione Doganale Tedesca, sono tutti elementi che ci parlano di una città permeata da uno spirito di contaminazione e apertura: uno spazio di tolleranza dove furono accolte prima la riforma luterana (abbracciata nel 1529) e poi le tendenze ereticali, intese quest’ultime nell’accezione «cantimoriana» di irriducibilità a qualsiasi ortodossia imposta. È la storia di Amburgo, ma soprattutto del suo porto e del quartiere St. Pauli; ed anche per questo la storia della comunità nata intorno ai colori bianco e marrone non poteva che essere un omaggio ad una cultura che in parte non fatichiamo a sentire nostra da ogni angolo d’Europa.