Alla fine il Movimento 5 stelle e la Lega hanno trovato il modo di governare insieme. Ci sono arrivati attraverso innumerevoli contorsioni. Opporsi con efficacia, significa tentare di capire perché si è arrivati a questo esito. Gli italiani, come tutto l’Occidente, sono stati investiti dalla globalizzazione. Essa aveva fatto intendere che con la crescita degli scambi e con il trionfo del liberismo (ormai senza contrappesi, perché l’Unione Sovietica si era schiantata) sarebbero stati tutti meglio. Non è stato così. I dati ci dicono che le ingiustizie ovunque sono grandemente aumentate.

Contemporaneamente sembra essere sparita anche la sovranità democratica. La certezza di un rapporto tra protesta e risultati, tra soggetti visibili e chiaramente operanti.

Si è diffusa l’idea che non ci sono alternative al subire gli andamenti bizzarri dell’economia e della finanza, ai poteri nascosti.

Gli stati nazionali non hanno potuto più svolgere la loro funzione storica; con politiche di riequilibrio e di intervento sociale. Si sono dovuti disciplinare, anzi, dopo la crisi del 2008, ad una rigorosa austerità: serenità dei numeri, inferno per le persone. Ad un certo punto la corda si è spezzata. Anche per gli errori della sinistra.

Una sinistra di fatto improntata ad una sorta di “liberismo progressista”. Molti diritti (sacrosanti) ma poche politiche sociali e nessun vero urto contro l’establishment. Milioni di cittadini, così, si sono sentiti persi, indifesi. Non sono definibili tutti populisti, di destra, fascisti.

Prevale in molti un sentimento di disperazione e di esodo da una realtà che faticano a vivere. Non sanno bene dove porterà questo loro abbandono. Le ricette sono incerte e gli atti contraddittori.

Si è visto anche dopo il voto: l’enorme elettorato di 5 stelle si è dimostrato un corpaccione multiforme e confuso. L’allarme vero è che nell’ondata populista sta prevalendo l’egemonia una forza con le idee, invece, molto chiare.

La Lega di Salvini. Il magma del populismo grillino rischia, così, di diventare un mare indistinto, attraversato dall’azione determinata di una destra xenofoba, securitaria, anti europea e fascistoide. C’è una crescita in tutta Europa di soggetti politici simili.

Per ora la Francia e la Germania hanno resistito, e in Inghilterra il 40% degli elettori guarda con simpatia Corbyn. Noi ci siamo, invece, allineati prontamente all’Ungheria, alla Polonia, a Putin e all’India di Modi.

Che opposizione mettere in campo? I derby frontisti tra Europa sì e Europa no, tra populismo e anti populismo, tra repubblicani e anti repubblicani, detti così, non ci possono che portare ad ulteriori sconfitte.

Meglio una linea più articolata; che tenti di avanzare nel ventre molle del Movimento 5 stelle, per spostare orientamenti, svelare illusioni e contraddizioni. Che ci sono: quelli che hanno conquistato voti in nome dei lavoratori e delle periferie della città (con noi distratti) vogliono la flat tax, che rende più ricchi i ricchi e più poveri i poveri.

La sinistra deve tornare al nucleo primario che l’ha originata: il tentativo umano, in ogni tempo e in ogni latitudine, di accorciare le distanze tra chi ha e chi non ha.

Giustizia sociale, dunque; che significa politiche sociali, investimenti privati e pubblici, fiscalità progressiva, contrasto all’austerità e a tutto ciò che ne consegue.

E poi, Europa sì. Ma diversa.

L’Europa così com’è, è stata una delle cause del dilagare del sovranismo, del populismo e del nazionalismo. Assorbe sovranità dagli stati, ma non la esercita essa stessa con poteri e politiche sovranazionali, integrate e legittimate democraticamente.

Ha rinunciato, dopo l’89, ad un suo ruolo autonomo. Si è sbilanciata nel rapporto subordinato con gli Stati Uniti, a partire dalla condotta scellerata di Blair nella guerra in Iraq. Il compito dell’Europa dopo l’89 era quello di farsi carico storicamente del fallimento dell’Unione Sovietica; e di non permettere, nonostante gli orrori e i crimini successivi, che il sogno improvvisamente apparso di un mondo senza sfruttamento e senza odiose gerarchie, fosse soffocato del tutto.

La missione dell’Europa dovrebbe essere, dunque, umanizzare la globalizzazione. Bastano solo le parole e programmi diversi per convincere chi si è allontanato a tornare indietro? Non credo.

Qualsiasi tentativo di frenare l’esodo comporta nuove forme politiche di accompagnamento, di vicinanza, di fusione empatica. Per questo, è decisivo lo strumento di un nuovo partito: un campo largo di persone che decidono di costruire migliaia di agorà, in un atto creativo che permetta ai cittadini di unirsi, incontrarsi, confrontarsi e poi decidere.

La sovranità va ricollocata alla base della piramide.

Non è facile riportare a casa i tanti dispersi. La fiducia si può riconquistare solo se il nostro occhio tornerà ad essere interno alla sofferenza. Sconteremo passaggi difficili. Quello che un tempo era il popolo si è trasformato in gente chiassosa, con poca coscienza, portatrice di verità spezzate e contrastanti.

Dobbiamo immergerci nel terreno melmoso e dentro la rabbia dei cittadini di oggi; così connessi e così sconnessi.

Se dovessimo ricominciare con i nostri penosi riti interni, si salderà definitivamente il rapporto tra i milioni di elettori di 5 stelle (tanti nostri) e le falangi ben organizzate della destra leghista.

Allora, nelle incertezze del mondo moderno, ancor più italiani si convinceranno che la sola casa rimasta loro sono l’etnia, una supposta e superiore identità culturale, un confine da difendere, un nemico da distruggere.