L’obiettivo è arrogantemente ambizioso, come è costume di Mark Zuckerberg. Consentire a chiunque sia connesso alla Rete e al miliardo e ottocento milioni di uomini e donne che ancora non lo sono di potere acquistare beni e servizi usando un telefono cellulare senza necessariamente avere un conto in banca, Oltre lo shopping il progetto prevede la possibilità di spostare piccole o grandi quantità di danaro da una nazione all’altra senza usare l’intermediazione di banche o di altre imprese finanziarie.

Facebook vuol fare però le cose in grande perché quello presentato in pompa magna dovrà essere il pilone portante di una Internet della moneta, che affiancherà quelle già esistenti, della comunicazione, della socialità, del lavoro e delle «cose».

È questo il cuore di Libra, che ha tutte le carte in regola per diventare uno tsunami, che potrebbe essere alimentato da iniziative analoghe da parte degli altri Big Tech (Amazon, Google, Apple). In gioco, infatti, c’è quel che rimane della sovranità nazionale – già fortemente ridimensionata negli anni precedenti – ma anche il dispiegamento di quelle sovranità imperiali che hanno preso forma nell’ultimo ventennio e che hanno dovuto misurarsi con la crisi della globalizzazione, culminata nel bail out del 2008. In ballo ci sono quindi anche le geografie di potere globale del capitalismo delle piattaforme e della sorveglianza.

Le imprese continueranno certo ad accumulare Big Data, trasformando i singoli in materie prime e merci da produrre e vendere, ma con l’internet delle monete si chiuderà idealmente il cerchio, facendo diventare le piattaforme digitali lo strumento necessario e indispensabile per ogni attività umana, dal comunicare, al lavoro, al consumo, al tempo libero. Ogni utente sarà quindi vincolato a una piattaforma, diventandone un suddito. E un ostaggio. Chi accede a una piattaforma dovrà infatti rimanere fedele ad essa. In fondo, esodare da essa non avrà molto senso, perché chi la usa potrà fare di tutto senza pagare nulla.

Il business model – software e servizi gratuiti in cambio della cessione dei propri dati personali – della Rete diventerà così un modello «universale, esautorando lo Stato nazionale o gli organismi internazionali della sovranità su molti campi, compresa quella monetaria.

MARK ZUCKERBERG ha lavorato sotto traccia. Ha fatto shopping di start up, costituito un gruppo di lavoro per acquisire conoscenze e competenze, ha ingaggiato un supermanager proveniente da PayPal, tessendo con pazienza alleanze e partnership con capitali di rischio, colossi delle telecomunicazioni, società specializzate in acquisti online. Ha scelto di usare programmi informatici che strizzano l’occhio all’open source, perché consapvole che le cryptovalute e il blockchain sono da sempre «codici aperti» e che ogni deriva proprietaria non avrebbe incontrato il consenso nella Rete. Illuminante è il racconto della campagna acquisti di Facebook che fa Jamoril su queste pagine. Infine, che Il consorzio che gestirà il progetto si installerà in Svizzera, da sempre paese neutrale e benevolo verso il sistema bancario.
Libra sarà organizzata in maniera tale da evitare le speculazioni che hanno accompagnato lo sviluppo delle Bitcoin e delle altre cryptovalute. Il valore della moneta sarà infatti legata a un paniere di altre valute – il dollaro, l’euro, sicuramente, ma non è escluso che vi entreranno a far parte anche monete di altri paesi.

L’«INTERNET DELLA MONETA» può risultare indigesta a molti stati, ma le reazioni statunitensi hanno lasciato trapelare sia interesse che perplessità. Che tra Donald Trump e la Silicon Valley non corra buon sangue non è certo una novità, ma non è detto che il tycoon populista si metta di traverso al progetto di Facebook, date le sue insofferenze montanti verso la Federal Reserve e le istituzioni monetarie e finanziarie americane. L’«Internet della moneta» ha infatti tutte le carte in regole per diventare il campo di incontro tra il populismo aggressivo e nazionalista che regna con mano feroce a Washington e il cosmopolitismo neoliberista della Silicon Valley. Il denaro non ha d’altronde odore. E poco importa, per Zuckerberg e per il suo consorzio, se a maneggiarlo saranno i lupi di Wall Street, di Washington o della Sun Bealt.