Già nel suo libro del 1997, La trama della realtà David Deutsch aveva oltrepassato i confini del suo ambito di specializzazione – la fisica, e in particolare la meccanica quantistica applicata alla computazione – presentando alcune coraggiose tesi filosofiche. L’idea guida era che la tanto agognata «teoria del tutto», una teoria onnicomprensiva capace di spiegare ogni ambito della realtà, è di fatto già disponibile, e richiede solamente un’appropriata fusione di meccanica quantistica, teoria dell’evoluzione, teoria della computazione e teoria della conoscenza.

L’ultima opera di David Deutsch, L’inizio dell’infinito (Einaudi, pp. 502, euro 32,00) affronta temi analoghi, andando allo stesso tempo oltre, in termini di ambizione concettuale. Una prima linea di continuità, e un primo asse portante del libro, riguarda l’idea di spiegazione, da sempre centrale nella filosofia della scienza. La ricerca del «perché» certi fenomeni si verifichino nell’universo è, ci dice Deutsch, più importante della capacità di predire «che» certi eventi avranno luogo in futuro. Secondo il fisico di Oxford, anzi, il concetto di buona spiegazione è fondamentale, e in due sensi: da una parte, solo l’essere umano può trascendere i confini imposti dalla sua finitezza fisica, comprendere sempre di più ciò che lo circonda e, quindi, imparare a portarvi modifiche: l’uomo, secondo Deutsch, è un «esplicatore universale». D’altra parte, ciò che viene scoperto in questa dinamica, le leggi di natura, si configura a sua volta come buona spiegazione. È l’universo stesso, cioè, ad avere una struttura intrinsecamente razionale.

Per comprendere come, data questa corrispondenza fra la struttura della realtà e le capacità esplicative dell’uomo, si arrivi a parlare di «inizio dell’infinito», occorre considerare l’epistemologia fallibilista di stampo popperiano. Per Popper, la caratteristica distintiva delle ipotesi scientifiche non è quella di essere verificate attraverso esperimenti, bensì quella di essere passibili di falsificazione da parte dei fatti. Più un’ipotesi ha conseguenze empiriche che saremmo portati a scartare come altamente improbabili – dice Popper – più la si può considerare scientifica.

Per usare un esempio classico: nel 1818 il fisico francese Augustin-Jean Fresnel propose una innovativa teoria della luce secondo la quale questa è un’onda, una perturbazione in un mezzo come l’aria o l’acqua, e quindi la teoria corpuscolare di derivazione newtoniana, secondo cui la luce è invece un fascio di particelle, è falsa. L’autorevole fisico Poisson, sostenitore della teoria corpuscolare, notò che la conseguenza logica della teoria di Fresnel comportava il fatto che si sarebbe dovuta osservare una macchia luminosa nel centro dell’ombra di un disco circolare illuminato da una sorgente puntiforme. Una conseguenza che sembrava assurda, ma che venne in seguito confermata sperimentalmente. Anche se sempre falsificabile in un secondo momento, la teoria di Fresnel aveva, a quel punto, rischiato e vinto.

L’altra faccia di questa dinamica è esemplificata dalla storia dell’etere luminifero, il mezzo in cui fino a fine ‘800 si pensò che la luce stessa e tutte le onde elettromagnetiche si propagassero. Ci si rese conto, a un certo punto, del fatto che se l’etere occupa tutto lo spazio, il movimento della terra nell’universo dovrebbe creare un «vento d’etere» tale da modificare il moto di tutto ciò che vi è immerso, compresa la luce. Nel 1887 Albert Abraham Michelson e Edward Williams Morley effettuarono un ingegnoso esperimento per appurare se un tale fenomeno si verificasse o meno, e conclusero che non esiste nessun vento d’etere e, presumibilmente, nessun etere. La teoria dell’etere aveva rischiato e perso.

Ora, Deutsch è profondamente persuaso da questa visione della scienza e, come Popper, sostiene che il progresso nella conoscenza è essenzialmente un processo per cui, attraverso la formulazione di congetture ardite e loro confutazioni, accumuliamo certezze rispetto a come le cose non stanno. In particolare, dato che si può essere certi solo di aver sbagliato, è necessario considerare la verità al massimo come ideale regolativo, raggiungibile esclusivamente attraverso una serie infinita di stadi di conoscenza. A questo proposito, per Popper era cruciale l’impossibilità (in linea di principio) di rendersi conto di essere giunti a una conoscenza effettivamente vera, ed eventualmente a una spiegazione ultima. Deutsch afferma invece, più direttamente ma in modo meno legittimo, che «saremo sempre all’inizio dell’infinito» e di fatto non c’è una base ultima nella struttura delle cose e delle loro spiegazioni. Ma, anche ammettendo che sia così, come facciamo a saperlo?

Un altro punto controverso è il seguente. Deutsch, come Popper, ha una visione «realista» della scienza, una visione secondo cui essa formula spiegazioni sempre più vicine alla verità. Nel difendere il realismo, Deutsch afferma che la sua negazione porta al relativismo, ossia alla posizione per cui le proposizioni di una determinata disciplina si possono solo giudicare «in rapporto a standard culturali o ad altri criteri, comunque arbitrari». Ma questo è sbagliato: non tutti gli antirealisti scientifici sono relativisti. In particolare, lo strumentalismo – che Deutsch descrive come negazione dell’idea stessa di spiegazione – non implica che le affermazioni della scienza siano valutabili solo in base a standard arbitrari. Né è necessario per gli strumentalisti negare che la scienza spieghi: è per loro sufficiente sostenere che le spiegazioni sono strumenti utili, e non che ci siano ragioni per crederli tramiti verso la verità. Queste precisazioni sono importanti, perché anche (e forse soprattutto) chi concorda con Deutsch nel ritenere che la scienza sia unica nella sua capacità di formulare «buone spiegazioni», e quindi di scoprire la verità sul mondo che ci circonda, anche loro possono e devono avere ben chiare le concezioni alternative e le ragioni che le sottendono.

Qualcosa di simile vale per altre affermazioni di Deutsch, sommarie tanto quanto non effettivamente basate su argomenti: per esempio, che l’utilitarismo sui valori morali è sbagliato, che il giudizio estetico è oggettivo, o che la terra non è un luogo ospitale per la vita (ciò che Deutsch dimostra è, tutt’al più, che la creatività dell’uomo ha aumentato il livello di ospitalità della terra); ma anche che l’empirismo e il neopositivismo, la filosofia di Wittgenstein e la filosofia basata sull’analisi linguistica in – generale sono da rifiutare in toto. Tutte queste tesi richiederebbero di venire articolatamente discusse.

Detto ciò, L’inizio dell’infinito è per altri versi un libro affascinante. Innanzitutto, il testo è sempre basato su solide conoscenze scientifiche oltre che su un’indubbia capacità di trovare punti di contatto fra teorie e idee apparentemente indipendenti. Deutsch riesce a illustrare in modo non-tecnico ipotesi e nozioni fondamentali in biologia, intelligenza artificiale, meccanica quantistica e cosmologia dei molti universi, nonché a proporre ricostruzioni originali dell’argomento della «sottile sintonia» (come mai l’universo ha esattamente tutte le caratteristiche fisiche necessarie per la vita?) e dell’origine e evoluzione della scrittura e della cultura. Su queste basi, propone congetture sicuramente degne di attenzione: per esempio, quella secondo cui le idee e la conoscenza, sia pure nella loro astrattezza, sono entità reali che sottostanno a precise regole di selezione; e quella per cui la conquista della «universalità» – vale a dire, la capacità di trascendere, sia pure sulla base di un numero finito di fattori costitutivi, i limiti imposti da ciò che è casuale e valido solo in regioni limitate dello spazio e del tempo – è essenziale per ottenere un progresso genuino, nella conoscenza come nell’evoluzione del cosmo.

L’elemento veramente centrale del testo di Deutsch è però un altro ancora: l’esaltazione dell’Illuminismo, inteso kantianamente come «uscita dallo stato di minorità», rifiuto dell’autorità e dell’idea che l’uomo sia incapace di trascendere le sue limitazioni pratiche e conoscitive, nonché responsabile di modificazioni negative piuttosto che di progresso positivo nei confronti della realtà in cui si trova. Di fronte ai sempre più numerosi messaggi pessimisti rispetto alla natura e alle capacità dell’uomo, e quindi di riaffermazione di questa o quella autorità (si pensi, in particolare, alle più o meno recenti prese di posizione dei vertici ecclesiastici nei confronti della mentalità scientifica e della razionalità in genere), il richiamo alla capacità di ogni uomo di ricercare e formulare buone spiegazioni, migliorare il proprio stato svelando caratteristiche universali della realtà e arrivare a pensare che ogni male sia in ultima analisi dovuto a una rimediabile mancanza di conoscenza è forse eccessivamente ottimista, ma senz’altro profondamente salutare.

Tuttavia, quel che ci dice Deutsch non è del tutto esente da limiti, se non contraddizioni: per esempio, se le spiegazioni mirano a comprendere le cose e rappresentarle, e dobbiamo bandire ogni spiegazione indebitamente antropocentrica, non è chiaro su quali basi Deutsch ritiene possibili universi governati da leggi di natura che si configurano come spiegazioni «cattive» o «immorali». Più in generale, non si può non notare che, a partire dalla critica delle spiegazioni antropocentriche di tipo tolemaico, Deutsch arriva ad affermare una grandiosa teoria in cui, di fatto, l’uomo è al centro di tutto e le forme della nostra razionalità e conoscenza sono misura di tutte le cose. Nonostante questo, il tentativo di recuperare e sostanziare l’eredità della rivoluzione scientifica e illuministica da parte del teorico britannico rimane importante e ammirevole, e sulle idee che sono alla base di questo tentativo non possiamo che trovarci decisamente concordi.