Che cos’è un impero e che cos’è l’imperialismo? Passando in rassegna le varie teorizzazioni del fenomeno, Mario Liverani affronta in modo estremamente coinvolgente il tema del potere nelle sue varie forme, dall’antichità ai giorni nostri, in un saggio titolato Assiria La preistoria dell’imperialismo (Laterza, pp. 384, euro 22,00) che adottando un orientamento epistemologico innovativo e molto stimolante si traduce in un importante punto di riferimento, non solo per gli studi sul Vicino Oriente antico ma anche per la storiografia tout-court.

Nel XX secolo – da Hobson a Lenin, da Schumpeter a Hannah Arendt, ma anche a Wolfgang Mommsen e Momigliano – l’imperialismo, associato o meno al capitalismo, viene generalmente considerato un fenomeno limitato alla modernità. Gli imperi di epoca pre-moderna non avrebbero conosciuto una vera consapevolezza, un’ideologia imperiale, laddove questo fattore, insieme a quello economico, costituisce – scrive Liverani – il «requisito essenziale» dell’imperialismo. Infatti, «se è vero che gli scopi concreti dell’imperialismo sono economici e di potere, è anche vero che le giustificazioni ideologiche non sono solo una copertura, ma un fattore essenziale» poiché solo là dove c’è una forte ideologia si assiste a una reale espansione di popoli e stati. La «missione imperiale», secondo il punto di vista dell’autore, è quella di «sottomettere o almeno egemonizzare tutto il mondo conosciuto».

Tutti gli studiosi che hanno affrontato il tema degli «imperi» hanno fatto soprattutto riferimento al modello romano, allargando in qualche raro caso il campo d’osservazione agli imperi di Alessandro Magno o degli Achemenidi (impero persiano), ma mai all’impero assiro. Eppure, nel mondo preclassico è proprio l’Assiria che «offre in maniera più diretta ed esplicita» forme di imperialismo nettamente individuabili: in perenne mobilitazione bellica durante almeno tre secoli (dal 930 al 630 a.C. circa), questo stato conosce una progressiva espansione territoriale (visivamente evidenziata dalle cartine che accompagnano il saggio), e soprattutto una consapevolezza ideologica che emerge con chiarezza da tutta la ricca documentazione esistente.

Il nucleo centrale del volume consiste in un’analisi minuziosa, quasi una decostruzione dei molteplici elementi che costituiscono un’ideologia imperiale, prendendo l’Assiria come spunto ma non esitando, di volta in volta, a proporre paralleli e accostamenti anche assai lontani nel tempo e nello spazio, ma sempre centrati e pertinenti. Sommamente meritorio è l’uso esteso delle fonti esibite da Liverani, che dei testi antichi è un esperto conoscitore e non esita a riportare per intero, allo scopo di esemplificare ciò che viene dicendo, un gran numero di brani tratti dai documenti assiri originali. Questi frequenti inserti di testi in cui i sovrani o i loro scribi parlano in prima persona, presentano brillanti immagini di quella che era la vita e il modo di pensare di quel mondo, e permettono al lettore di gustarne la lettura come una sorta di «docu-fiction» su carta stampata.

Poiché la caratteristica ideologica dell’imperialismo è quella di avere una «missione» che giustifichi, e anzi renda meritoria, la sua politica espansiva verso il resto del mondo, i primi capitoli chiariscono le condizioni del «mandato divino» di cui i sovrani vengono investiti, in particolare da Aššur, il dio supremo da cui deriva il nome stesso dell’Assiria. Il re è tale perché Aššur lo ha scelto e gli ha dato il suo avallo (tukultu), gli ha affidato un mandato (qibitu) e promette di sostenerlo col suo aiuto (emuqu, resutu), mentre gli avversari sono sconfitti vuoi perché si oppongono a tale volere, vuoi perché gli dei in cui confidano sono inferiori ad Aššur e non sono in grado di garantire la vittoria.

Se da questo punto di vista la guerra può essere considerata «santa», non va dimenticato che, in età pre-assiale – in assenza dei monoteismi «etici» che costituiscono una caratteristica saliente delle epoche successive, e per la verità in assenza di una religiosità condivisa al di fuori del mero ambito cerimoniale – non esiste alcun intento di convertire i vinti alla vera fede, mentre è già vigente il concetto di guerra «giusta» nella misura in cui il suo esito è deciso dal Dio e ha quindi valore di ordalia.
Tra gli elementi presi in esame in questo saggio densissimo di dati fattuali e di felici spunti di riflessione, ci sono le esplorazioni geografiche, necessarie premesse alla conoscenza dei popoli delle «periferie», suscettibili di conquista: anche se le prime fasi di conoscenza dei luoghi dovettero essere caratterizzate da contatti casuali, da parte soprattutto di commercianti, sono ricorrenti le vanterie dei sovrani, nelle loro iscrizioni e spesso anche tramite stele «ai confini del mondo», sulla loro apertura di vie nuove verso paesi fino ad allora sconosciuti. La motivazione economica dell’imperialismo assiro era lo sfruttamento delle risorse, attuato con la spoliazione sistematica delle ricchezze dei paesi conquistati e spesso anche con la deportazione delle popolazioni per disporre di nuova forza-lavoro, a quei tempi sempre scarsa.

La propaganda, declinata secondo i diversi destinatari (interni ed esterni, istruiti e analfabeti), era un fattore importante, sia per garantirsi il consenso della popolazione che doveva pagare tasse e fornire soldati, sia per incutere il terrore negli avversari, reali o potenziali. Un fenomeno interessante, tra quelli che vengono passati in rassegna da Liverani, sta nel «collezionismo» di oggetti, piante e animali esotici, e perfino biblioteche (di terracotta), come prova tangibile dell’assoggettamento dei paesi più lontani: tutto sommato non molto dissimile è stata, in età moderna, la funzione dei grandi musei dei paesi coloniali.
Suggestivo, ma tutt’altro che casuale e provocatorio è il capitolo intitolato «exporting despotism»: la «missione» affidata dal dio al sovrano è quella di completare la creazione assoggettando tutto il mondo all’ordine del cosmo e sottraendolo al caos e alla barbarie. L’ordine implica ubbidienza, pagamento di pesanti tributi e fornitura di sfiancanti corvée. Anche l’ideologia coloniale degli imperi moderni considerava benefico «sostituire l’organizzazione gerarchica portata dall’Occidente al caos decisionale e lavorativo, caratteristico dei regimi pre-coloniali».

Una volta constatate le numerose e non casuali analogie tra le caratteristiche dell’imperialismo assiro e quelle degli imperi successivi, Liverani si chiede se si debba pensare solo a coincidenze più o meno legate alla natura stessa dell’imperialismo o se non vi sia anche qualche traccia di una filiazione «genetica», avendo comunque ben presenti tutte le differenze tra istituzioni così lontane tra loro nel tempo e nello spazio.
Le grandi «cesure» che prende in considerazione sono tre: quella introdotta in ambito etico e religioso dall’età assiale, quando vennero sovvertiti i rapporti tra potere politico e religione, quella delle grandi scoperte geografiche che, allargando a dismisura il mondo conosciuto fecero tramontare l’ideale di un impero «universale» e territoriale, portando alla costituzione degli imperi moderni il cui carattere era spiccatamente «commerciale» più che territoriale; e, infine, la cesura della contemporaneità, con la globalizzazione e l’esercizio di un potere agile e delocalizzato, su basi economiche prevalentemente finanziarie. È questa la fase in cui la stessa parola «impero» subisce uno svilimento semantico perdendo la sua connotazione positiva e mantenendosi solo in locuzioni quali l’«impero del male» o l’Impero di Guerre Stellari.

Per spiegare come «certe forme ideologiche assire si siano trasmesse agli imperi successivi», Liverani cita due percorsi, uno propriamente storico – l’influenza assira sull’impero persiano, con diramazioni successive tra cui i regni ellenistici e l’impero romano – e un altro di tipo letterario-religioso, che passa attraverso i numerosi elementi neoassiri presenti nell’Antico Testamento e da lì diffusi nella tradizione giudeo-cristiana.
È attraverso quest’ultimo percorso che sono giunti fino a noi concetti come il «timor di Dio» (a suo tempo giustificato dall’«alone terrificante», pulhu, del dio assiro) formule come «tuo è il regno, tua la potenza e la gloria», che si ritrova quasi identica in un testo assiro, o un ritornello come Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat «che potrebbe essere riferito tale e quale ad Aššur». A dimostrazione di quanto le «radici cristiane» dell’Europa affondino nell’antichità, fino all’impero assiro.