Una identità europea
Sport Intervista a Nicola Sbetti che terrà oggi una relazione al convegno di Jesi
Sport Intervista a Nicola Sbetti che terrà oggi una relazione al convegno di Jesi
Perché l’Europa non ha una squadra di calcio? Una nazionale di calcio dell’Europa potrebbe dare maggiore impulso al processo di identità dei cittadini europei? L’Uefa è più potente dell’Europa politica, dovrebbe cedere il suo potere a una Federcalcio d’Europa? Ne parliamo con Nicola Sbetti, ricercatore presso l’Università di Bologna, vincitore di una borsa di studio di ricerca presso gli Archivi dell’ European Institute di Firenze, che il 21 aprile a Jesi innanzi allo stato maggiore del Coni, relazionerà sul tema “Lo sport che fa l’Europa”.
Qual è il rapporto tra lo sport e l’identità europea?
Lo sport ha sempre avuto un grande potenziale identitario, fin dal XIX secolo è stato utilizzato dalle élite autoritarie, ma anche democratiche, nel processo di costruzione dell’identità nazionale. Il caso dell’Islanda è emblematico, dopo aver fatto una sorprendente prestazione agli ultimi Europei di calcio, si è qualificata ai mondiali, grazie allo sport ha potuto proiettare un’immagine globale di se diversa dal passato, quando ha vissuto momenti di difficoltà sociale, che hanno determinato anche un alto tasso di suicidi e di consumo di droga. Lo sport ha un grande potenziale, che l’Europa politica di oggi sfrutta poco.
Qual’ è il motivo?
C’è una struttura dello sport internazionale che riflette le nazioni in competizione tra loro. I politici sanno che lo sport è importante per l’identità nazionale, però il fatto non fosse contemplato nei trattati comunitari, ha fatto sì che Bruxelles non se ne occupasse. L’Ue si occupa molto di sport sotto l’aspetto dell’ integrazione e dell’inclusione sociale, ma non per quanto riguarda la costruzione dell’identità europea, su questo punto c’è poco investimento del secolo scorso, anche se c’è stato un periodo negli anni Ottanta che si è lavorato su questi punti.
Il calcio potrebbe essere un buon veicolo identitario per l’Europa?
Potenzialmente è lo sport che avrebbe maggiore impatto, ma essendo il più praticato c’è meno spazio per certe battaglie, è più difficile farne il vessillo di un’identità europea. Negli sport minori, è più facile. In passato nel ciclismo femminile è stato promosso un Tour dell’Europa, essendoci meno interessi economici è stato più facile. Nel calcio ci sarebbe la possibilità di costruire una nazionale europea, che non sostituirebbe le nazionali dei singoli paesi, i modelli adottabili possono essere quello americano dello show- business, dell’All Star Game, una selezione europea che faccia delle partite amichevoli contro una squadra di stranieri che giocano in Europa, o sfidare altre squadre disputando partite evento molto spettacolari con i giocatori più forti, in cui conta molto di più lo spettacolo che il risultato, oppure inventare formule in cui la squadra dell’Europa sfida selezioni continentali, o singoli nazionali molto forti come l’Argentina, il Brasile. Si potrebbe seguire il modello della Rider Cup nel golf, ogni due anni una selezione europea sfida una americana, o quello del British Irish Lions nel rugby, in cui le quattro squadre britanniche, considerando anche l’Irlanda, si uniscono e formulano una selezione, che gioca contro l’ Australia, il Sudafrica e la Nuova Zelanda, è un evento molto seguito e ha grandi ritorni economici e politici.
In passato ci sono stati tentativi di una selezione europea di calcio?
Quando l’Europa era ristretta ai paesi fondatori, c’è stata in più occasioni la proposta di promuovere una coppa della Comunità europea. In altri sport, soprattutto nel ciclismo, ma anche nella vela e nel tennis, verso la fine degli anni Ottanta ci furono diverse competizioni, che facevano riferimento all’Europa politica, alla Comunità economica europea (Cee). Per qualche anno ebbero una certa fortuna, anche se fallì il tentativo di costruire i Giochi della Comunità europea. Nel ciclismo verso la fine degli Ottanta, inizio Novanta, ci fu un giro delle Fiandre a impronta europea, vi fu una gara di vela la Cours dell’Europe con i simboli comunitari. Fu una stagione dell’europeismo convinto che portò a Maastricht, in cui i simboli europei entrarono con forza in alcuni sport, ma paradossalmente quando si rafforzò l’idea dell’Ue questo percorso sportivo si esaurì.
La nazionale di calcio dell’Europa sarebbe rigidamente riservata ai calciatori europei o multietnica?
L’Europa oggi è multietnica, la nazionale di calcio rifletterebbe il tessuto sociale dei paesi dell’Ue. In passato si è discusso su quale modello seguire, quello delle quote, cioè un giocatore per ogni paese, oppure convocare i migliori, sarebbe auspicabile questa seconda ipotesi, in tal modo avremmo più giocatori finlandesi nella nazionale di hockey e più spagnoli nella nazionale di calcio.
Una nazionale di calcio dell’Europa toccherebbe interessi economici del calcio dei singoli paesi europei?
Sicuramente c’è una sorta di opposizione da parte delle federazioni nazionali, che vedrebbero limitato il loro potere dalla nascita di una grande federazione europea del calcio. Esistono oggi organismi sportivi, come l’Uefa, che sono ben più potenti dell’Europa politica, non hanno bisogno di un’Europa dello sport. L’Europa dell’Uefa include la Russia, la Turchia, Israele, paesi distanti dall’Europa politica, l’Uefa del calcio ha creato qualcosa di più grande dell’Europa politica.
Un’Europa dello sport limiterebbe xenofobia e nazionalismi che si insidiano nello sport?
Non bisogna dare troppo responsabilità allo sport, da solo non può eliminare la xenofobia e i nazionalismi. Aiuterebbe a eliminare la xenofobia europea, come nel campionato di calcio italiano siamo divisi da campanilismi, ma poi uniti innanzi alla nazionale, durante gli Europei di calcio o i mondiali, quando ci sarebbe la sfida tra la nazionale dell’Europa contro il Brasile saremmo tutti uniti. Oggi quasi mai uno sportivo sventola la bandiera europea, sempre più chi vince una competizione sventola quella del proprio paese. E’ un gesto che negli anni Venti, Trenta, Cinquanta del secolo scorso si faceva molto poco, oggi lo fanno tutti.
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