Noi «sappiamo» che delle armi chimiche sono state usate dal regime di Assad, 90 anni fa queste armi sono state bandite, c’è un rischio per gli Usa e per i nostri alleati in Medioriente «a non fare nulla» contro un «crimine contro l’umanità», soprattutto guardando a possibili derive dell’Iran: il segretario di stato John Kerry, in una dichiarazione solenne ai cittadini americani, dopo una lunga riunione del consiglio di sicurezza nazionale non ha rivelato nulla su un attacco imminente, ma ha anticipato un’«azione limitata e su misura per assicurarsi che l’utilizzo in Siria di armi chimiche è bloccato e finito», dopo la morte nell’attacco del 21 agosto, secondo i dati Usa, di 1.429 persone, di cui 426 bambini. Kerry ha sottolineato che «non sarà come l’Afghanistan, l’Iraq o la Libia». Kerry anticipa un rapporto neutro degli ispettori dell’Onu (del resto, è nel loro mandato), ammette la «stanchezza» dei cittadini (e la sua) verso le guerre, ma afferma che questa non è «una scusa per non assumersi le proprie responsabilità». Obama ha il «suo calendario», la decisione è imminente.
Ma dopo il «no» della Camera dei comuni di Londra alla partecipazione britannica a un’eventuale coalizione in Siria e la conseguente rinuncia di David Cameron a un’azione militare, in Francia – ultimo alleato di importanza degli Usa – molti parlamentari chiedono un voto all’Assemblea nazionale e non solo la «seduta informativa» prevista per mercoledì prossimo. François Hollande resta marziale: anche senza gli alleati britannici, ha affermato in un’intervista a Le Monde, la Francia potrà agire.
L’Eliseo fa sapere che «la decisione del parlamento britannico non cambia nulla nella nostra determinazione ad agire in Siria». Di più: «Se il Consiglio di sicurezza sarà impedito ad agire, si formerà una coalizione», guidata da Usa e Francia, con l’appoggio della Lega araba. Il segretario alla difesa Usa, Chuck Hagel conferma che «l’approccio è di continuare a trovare una coalizione internazionale che agirà di concerto». Riecheggiando Mitterand che nella prima guerra di Iraq aveva evocato il «rango» della Francia nel mondo per giustificare la partecipazione (a differenza del 2003 e del «no» di Chirac), Hollande afferma che «ci sono pochi paesi che hanno la capacità di infliggere una sanzione attraverso mezzi appropriati. La Francia è uno di questi. È pronta». Hollande ha avuto ieri contatti telefonici con Obama. L’idea è sempre di intervenire per segnare «uno stop» al regime di Assad, «punirlo» per aver usato le armi chimiche, ma senza «liberare la Siria e rovesciare il dittatore». Intanto da Tolone è partita per il Mediterraneo orientale la fregata Chevalier Paul. Hollande ha confermato che la Francia sta aiutando l’opposizione, non solo con un sostegno politico, aiuti materiali e umanitari, ma anche «con mezzi militari nel rispetto dei nostri impegni Ue».
La Francia è sempre più sola, assieme agli Usa. Il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha escluso ieri la partecipazione della Germania: «Non ce l’hanno chiesto e non lo prevediamo». La Ue se ne lava le mani, l’alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, si è limitata a «prendere atto» del voto britannico. La Russia ha ancora impedito un risultato al Consiglio di sicurezza, che si è riunito per soli 45 minuti giovedì sera. La Russia «è contro qualsiasi risoluzione che preveda la possibilità di uso della forza», ha ribadito il viceministro degli esteri, Gennadi Gatilov. Per la Russia, che si è detta «sollevata» dal voto inglese, un intervento porterebbe un «serio colpo» all’ordine mondiale, basato sul ruolo centrale dell’Onu.
Hollande esclude comunque un intervento prima del rientro degli ispettori Onu, previsto per oggi. Gli ispettori consegneranno il loro rapporto al segretario generale, Ban Ki-moon. Ma i tempi sono stretti. Martedì Obama parte per la Svezia e poi sarà a San Pietroburgo per il G20 del 5 e 6 settembre. La finestra di tiro è quindi limitata, tra oggi, dopo la consegna del rapporto degli ispettori, e lunedì sera, visto che i generali Usa per tradizione non iniziano azioni militari quando il capo degli eserciti – Obama – è all’estero. L’operazione potrebbe quindi slittare al dopo G20 per lasciare un po’ di fiato alla diplomazia. Tanto più che le analisi dei prelievi fatti sui cadaveri dopo l’attacco del 21 agosto «possono durare settimane», ha informato l’Onu.
Gli Usa dovrebbero pubblicare una versione non top secret con le «prove» dell’implicazione del regime di Damasco nell’attacco del 21 agosto. Sembra che ci siano delle intercettazioni telefoniche tra personalità al potere in Siria, che permettono di dire a Washington che «non c’è dubbio che armi chimiche siano state intenzionalmente usate dal regime». È stata l’ammissione di Cameron di non avere prove «al 100%» della responsabilità di Assad e il paragone con le bugie di Tony Blair nel 2003 sull’Iraq ad aver spinto una maggioranza di parlamentari – 285 contro 272, 30 conservatori hanno votato con il Labour – a bocciare l’intervento alla Camera dei comuni. Al Congresso Usa invece finora sono in 200 ad aver chiesto un voto, che Obama però non prevede. In occidente le opinioni pubbliche sono in maggioranza contro l’intervento. In Gran Bretagna, il 50% contrario (contro il 25% a favore) e solo il 23% che approva anche soltanto l’invio di armi ai ribelli, ha piegato Cameron. Negli Usa, il 60% è contro l’intervento, approvato solo dal 9% (percentuale che sale al 25% se verranno date vere prove della responsabilità di Assad). In Germania i contrari sono il 58%. In Francia, Hollande deve fare i conti con l’opposizione del 59% nel caso di un’azione anche guidata dall’Onu. Sono i socialisti ad essere maggiormente a favore (54%), mentre i più contrari sono gli elettori del Fronte nazionale.