La fumata è nera. Tutto lascia credere che l’accordo tra i soci del Nazareno sul prossimo presidente della Repubblica sia lontanissimo. Dopo il buco nell’acqua di ieri, i due si rivedranno probabilmente oggi prima dell’apertura del torneo, che potrebbe procedere a passo forzato: Renzi mediterebbe infatti di proporre alla riunione congiunta dei capigruppo di Camera e Senato, stamattina, due votazioni oggi invece di una, e tre invece di due domani, con sedute fino a mezzanotte. Perché lunedì mattina i mercati devono aprire con il presidente eletto (!).

Ieri, con i dovuti onori e senza confondersi col volgo, Silvio Berlusconi ha varcato la porta di palazzo Chigi, scortato da Verdini e Letta. Aveva in tasca un mazzo di bocciature secche. No a «figure poco note»: exit Raffaele Cantone, l’unico veto specificato con tanto di nome e cognome. No ai «tecnici»: fuori Visco e Padoan. No a figure di sinistra, ex avversari o peggio nemici: cassati Fassino, Veltroni, Finocchiaro, Chiamparino, anche se c’è chi sostiene che a bocciare la senatrice sarebbe stato proprio Renzi e non il socio.

Poco dopo, di fronte ai suoi parlamentari, il capo forzista ha assicurato che tutto va per il meglio: «Non conviene a nessuno mancare l’accordo. Renzi ha accettato i nostri no, il pericolo è scampato». Il capo dei senatori Romani controcanta: «Il patto del Nazareno tiene sul metodo». Ci siamo sull’identikit, non ancora sul nome. A prendere sul serio quel che dicono, per Berlusconi, e per Alfano, che aveva incontrato il premier in mattinata, ci sono solo due papabili: Amato e Casini. Quelli che Renzi non può accettare, prima di tutto perché sarebbero presidenti forti, dunque diarchi, ma anche perché negli ultimi giorni il velocista ha cambiato schema di gioco e vuole a tutti i costi tenere unito il partito. Lo ha ripetuto, e con toni convincenti, ieri mattina ai parlamentari: «Si parte dall’unità del Pd e non accettiamo diktat».

C’è un altro nome sul quale Renzi, nel colloquio col cavaliere, insiste, e guarda caso è proprio quello della testa di serie, Sergio Mattarella. Sulla sua candidatura, mette in campo un argomento forte: la possibilità di eleggerlo anche a costo di stracciare il patto del Nazareno. Nelle 24 ore precedenti Renzi aveva sottolineato in pubblico e in privato di avere già in tasca 470 voti. Nell’incontro con Sel, martedì sera, aveva detto: «I vostri voti potrebbero diventare determinanti». Ieri lo ha ripetuto ai deputati del suo partito, facendo chiaramente capire che la possibilità di un candidato extra-Nazareno c’è.

I ribelli azzurri temono che il capo ceda, che la minaccia di un presidente eletto solo dalla sinistra lo convinca ad accodarsi, e conoscendo l’uomo non è affatto impossibile. Però che Renzi mediti davvero di spingersi sino a stracciare l’accordo con Berlusconi pare più impossibile che improbabile: il prosieguo della legislatura diventerebbe un calvario, il percorso delle riforme una via crucis. «E’ uno stress test», afferma Brunetta. Facile che abbia ragione. Ma nella partita torbidissima che tutti stanno giocando, roba che al confronto i più scafati marpioni dc erano cristallini, non è affatto detto che Renzi i candidati che offre al socio solo per vederseli abbattere uno dopo l’altro li vorrebbe davvero vedere al Colle. Deve proporli, insistere, minacciare sfracelli: altro modo per tenere a bada la minoranza Pd non c’è. Ma proprio lui, ieri mattina, spiegava alla medesima minoranza di non poter insistere sino alle estreme conseguenze su Mattarella perché al giudice costituzionale mancherebbero i voti di Sel o almeno dei fuoriusciti grillini. Una bugia di quelle che si raccontano quando si cercano alibi. Chi lo conosce, poi, assicura che di fare di un rottamando o di un rottamato il primo cittadino non ha alcuna voglia.

Lo stallo risponderebbe in questo caso a una strategia precisa: puntare sulla paralisi per poi tirare fuori dal cilindro il vero candidato all’ultimo momento, e in questo caso non potrebbe che trattarsi di un tecnico, spendibile sul palcoscenico internazionale e versato in materia d’economia, perché il premier sa perfettamente che, alla lunga, sarà su quel fronte che si deciderà la sua sorte politica. Qualche forzista, ieri sera, prevedeva addirittura una bocciatura di Mattarella alla quarta votazione, come viatico per lo slittamento verso un tecnico. Certo sarebbe un rischio, perché, sia pur di misura, Mattarella i voti per essere eletto senza il centrodestra li avrebbe. Per affondarlo una parte del Pd dovrebbe preparare l’agguato, proprio come due anni fa con Prodi. Non sarebbe la minoranza.