Si apre con una dichiarazione d’intenti l’ultimo libro di Massimiliano Smeriglio Se bruciasse la città (Giulio Perrone editore, pp. 287, euro 18): Marco Cimino, giovane borgataro e una delle due voci narranti del romanzo, verbalizza desideri e bisogni di una comunità stanca di rimanere sempre a bordocampo, una comunità che non vuole «spegnersi piano piano e guardare la vita degli altri».

CORRE L’ANNO 2014; Marco, Hamid, Meri e gli altri scalpitano per passare dal ruolo di spettatori a quello di protagonisti. In una società bloccata e incancrenita per il mantenimento del potere c’è solo un modo per non rimanere schiacciati: la fuoriuscita dalla comfort zone. Abbandonare comodità e torpore non è soltanto un trucco per inceppare l’automatismo della divisione di classe, ma anche un invito quasi minaccioso che Smeriglio fa a chi legge. Se bruciasse la città è una storia che creando squilibrio e spaesamento va a conficcarsi nei dubbi e nelle ferite di chi l’affronta.
La struttura dell’intreccio alterna le vicende del 2014 a quelle del 1994, quando Roberto Cimino, lo zio di Marco, viene arrestato dopo una rapina andata male. Gli altri complici la fanno franca, compresi Valerio Natali e il Gatto, i personaggi che popolavano i precedenti romanzi di Smeriglio Garbatella Combat zone e Suk ovest. Le vicende di Roberto sono il contraltare a quelle di Marco e della borgata.

RACCONTATE IN TERZA PERSONA vivisezionano un ventennio caratterizzato da una cruciale mutazione antropologica. Al momento del suo arresto, Roberto abbandona la vita da libero senza alcuna dipendenza dai cellulari o dalla connessione a Internet. A quel tempo non si pensa all’Europa unita e quasi nessuno profetizza che il potere delle multinazionali avrebbe surclassato le forme di potere nazionale. Il mondo del lavoro non è ancora precario, flessibile, immateriale. Quando esce vent’anni dopo, tutto è cambiato, Amazon ha vinto, c’è il pessimismo e l’austerità della crisi economica e il welfare fa acqua da tutte le parti.
Nell’ambito della specularità criminale di zio Roberto e del nipote Marco, emerge la figura di Meri, sorella di Marco, la più intelligente del gruppo, la secchiona capace di visione e progettualità imprenditoriale che nella logistica e nello stoccaggio dei beni (anche illegali) intravede un’occasione di profitto.
Se bruciasse la città, titolo di una canzone di Massimo Ranieri del ’70, affronta la malavita di strada, l’impossibilità di una vita dignitosa per le classi dominate (almeno se non si accettano i compromessi che umiliano dei dominanti), il cambiamento dei meccanismi socio-economici nel più rapido dei ventenni, ma soprattutto si concentra sulla vendetta e sulla rivalsa.

ROBERTO È CONVINTO che i suoi complici lo abbiano venduto, ma finisce per servirsi un piatto freddissimo, quasi senza fretta. Anzi sembra temporeggiare in maniera esagerata. Non ha la montecristiana premeditazione di Edmond Dantes, né l’ossessione zoppa del capitano Acab disposto a tutto pur di eliminare Moby Dick. In questo procrastinare della vendetta c’è la ferita aperta del romanzo, con i suoi elementi di complessità e fragilità. È lì l’intercapedine della letteratura.
D’altronde pur traendo ispirazione dall’hard boiled statunitense, passando per le tinte fosche di Manchette e Malet, l’autore propone dialoghi e monologhi in romanesco che trasudano un’umanità che non riesce a essere soltanto cinica. Anzi, nella narrazione della malavita romana s’intravede sempre il lascito del melodramma e del culto della pietas per cui i personaggi si piegano fino alla torsione massima un secondo prima di spezzarsi.

IN QUESTA RESILIENZA emozionale esistenze e contesti hanno elementi di verosimiglianza, di tridimensionalità e, per l’appunto, di verace romanità. Ospedali, carceri, strade non sono scenografie, né tanto meno palcoscenici, ma elementi necessari e pulsanti della storia. Se bruciasse la città è un romanzo su Roma, dove non c’è nessuno sfruttamento dei riferimenti topografici. La Roma ormai descritta da ogni sfaccettatura letteraria (mafiosa, su-burrosa, Gotham City, buco di culo, stradona, non eterna) diventa in queste pagine Shangai e il Far West. Tanto qualsiasi sia il suo nome, andrà incontro al suo destino: quello di bruciare e resistere.