I lupi non si abbattono, si studiano. Dante Caserta, vicepresidente del Wwf, si appella alla razionalità del bipede più infestante.

In Italia esistono tra 1400 e 2500 lupi, è giustificato questo ritorno di paura?

Questo range enorme già significa che per fare un piano serio bisogna conoscere la consistenza reale del fenomeno. Stiamo parlando di 2 mila animali su una popolazione di 60 milioni di abitanti. Chi chiede l’abbattimento dei lupi deve domandarsi se sul territorio vogliamo o non vogliamo un certo grado di naturalità, o se invece l’uomo deve essere libero di svolgere qualunque tipo di attività anche se dannosa. Aggiungo che non esistono casi di aggressione all’uomo e che bisogna saper distinguere i lupi dai cani inselvatichiti. In alcuni casi gli animali provocano danni, è vero, ma tutti gli studi dicono che la prevenzione è l’unica azione utile per contenerli: basterebbero recinti elettrificati per proteggere il bestiame, semmai è un problema di fondi da stanziare.

Quindi, come prevedeva la prima ipotesi del piano lupo presentato dal ministero, per il Wwf l’abbattimento selettivo del 5% dei lupi non funziona?

Si calcola che in Italia ogni anno vengano abbattuti illegalmente circa 300 lupi, il problema semmai è il bracconaggio diffuso dovuto allo scarso controllo del territorio. Quindi siamo già oltre la soglia ipotizzata del 5% ed è evidente che non è la soluzione.

Il piano è stato rinviato perché le Regioni non trovano un accordo. Ci sono approcci così differenti?

Sono territori diversi con sensibilità diverse. La Toscana, per esempio, spinge per gli abbattimenti, facendo proprio un grido d’allarme che non trova giustificazioni nella realtà. Altre regioni, come l’Abruzzo, che è un simbolo per la tutela degli animali, rifiutano la logica degli abbattimenti. Il piano proposto dal Governo poi scarica dei costi sui territori che le Regioni non vogliono sostenere. Visto che non c’è l’accordo, il dibattito slitterà di altri tre mesi, si va avanti sempre così.

Quale sarebbe il piano lupo più razionale?

Nel piano del ministero ci sono già aspetti positivi, sembra che il governo voglia proporre una moratoria di due anni sugli abbattimenti. Meglio così, ma non è questa la logica che andrebbe privilegiata, perché parlare di moratoria significa solo rimandare il problema e comunque mettersi nell’ottica di non studiare la questione in vista dell’ipotesi abbattimento già prevista. Invece bisognerebbe mettere in campo tutte le misure preventive per limitare i danni provocati dagli animali, dopodiché, una volta verificati i risultati, decidere di prevedere una deroga per l’abbattimento.

Lupo a parte, in un territorio dall’ecosistema così fragile come l’Italia su quali altre specie a rischio bisognerebbe concentrare l’attenzione?

Sicuramente c’è un problema per l’orso sull’arco alpino, ricordiamo il caso eclatante dell’orso abbattuto in Trentino. Stiamo comunque parlando di numeri limitatissimi e in aree limitate. L’orso marsicano, che vive sugli Appennini, invece è presente in 50-60 esemplari, siamo già arrivati sull’orlo dell’estinzione. L’orso per sua natura ha necessità di allargare il suo spazio vitale e i parchi nazionali e le aree protette di fatto servono anche a quello, il punto è che l’uomo consuma territorio e l’animale si trova sempre più costretto.

Poi c’è il problema dell’impoverimento dei mari.

La pesca è un problema soprattutto nel mar Mediterraneo, sostanzialmente perché peschiamo e consumiamo sempre gli stessi pesci. Di fatto è il mercato che orienta il sistema e mette a rischio gli esemplari più pregiati, come il tonno e il pesce spada. Queste sono le nostre specie più altamente minacciate.

E gli animali intrusi? In Italia ci sono circa 3000 specie aliene. Sono davvero una minaccia o in alcuni casi siamo alla letteratura catastrofista?

Le specie aliene che nel loro habitat hanno pochi competitori possono diventare un problema: come le nutrie o il pesce siluro. Alcuni animali sono stati introdotti con qualche scopo e l’esperimento è sfuggito di mano, altri invece si sono moltiplicati a causa dei cambiamenti climatici. In ogni caso il colpevole è l’uomo. Il rischio è che si determinino scombussolamenti rispetto ad un equilibrio che si è assestato nei millenni.

Il caso dei cinghiali è emblematico.

Sì, perché sono stati introdotti nei territori a scopo venatorio ed è dimostrato che il problema non si risolve lasciando carta bianca ai cacciatori: la caccia ai cinghiali è aperta tutto l’anno eppure i branchi si disperdono e si ripropongono più numerosi di prima.

Il Wwf che dice delle «povere» nutrie?

Un altro errore commesso dall’uomo, è un altro caso in cui si può intervenire. Sempre seguendo lo stesso principio: il controllo della fauna deve seguire criteri scientifici, senza questo approccio non si va da nessuna parte.