Ci sono eventi della nostra storia, anche con caratteri insolitamente epici e drammatici, che non riescono a inserirsi nella narrazione positiva e dominante della vicenda nazionale. Gli stereotipi finiscono con l’avere la meglio sulla realtà effettiva e dunque riescono a confinarli nella sfera dell’eccezione, nella nicchia di un’altra retorica. È il caso delle Quattro giornate di Napoli e della loro collocazione nella storia della Resistenza italiana.

A DISPETTO DEI TRATTI perfino eroici di una insurrezione popolare impari, per rapporti di forza, di semplici cittadini contro l’esercito tedesco occupante, quelle memorabili giornate vengono confinate, e quasi staccate dalla storia generale della Resistenza, per essere racchiuse nell’icona di una ribellione plebea, fatta di rabbia, spontaneità e di disordinati istinti libertari. Lo racconta ora con chiarezza e con passione Giuseppe Aragno, rendendo giustizia e onore a tanti protagonisti (Le Quattro Giornate di Napoli. Storie di antifascisti, Intra Moenia, pp. 327, euro 18).
«Tra settembre e ottobre del 1943 – ricorda l’autore – dall’armistizio all’arrivo degli alleati, la città che combatte presenta alla storia una delle più significative ’foto di massa’ della guerra di liberazione, ma nell’immaginario collettivo prevalgono sin dall’inizio la città dei vicoli, del degrado e del ’popolino’». Finisce coll’imporsi nell’immaginario collettivo una foto del grande Robert Capa, destinata al rotocalco americano Life, che ritrae un gruppo di ’scugnizzi’ in armi, come i protagonisti e solitari eroi dell’impresa. Solo che, contraffazione su contraffazione, la foto non è di Capa, ma gli è stata venduta da un comunista militante, presente agli eventi.
Ovviamente, non sarebbe bastata una foto, per quanto celebre, a segnare la sorte delle Quattro giornate nella memoria nazionale.

È ovvio che le ragioni vanno ricercate in più cause, dipendenti dalla speciale attitudine della cultura italiana a creare stereotipi rassicuranti sulla realtà del nostro Sud. Ma c’è dell’altro. Come Aragno documenta con scrupolo, lo schema delle Quattro giornate evento isolato, senza una organizzazione precedente e senza un seguito, pura parentesi ribellistica, è anche accreditato dai più autorevoli storici della Resistenza. Non solo Roberto Battaglia (1953), ma perfino Claudio Pavone, che ha scritto pagine di grande suggestione, ancorché controverse, su questa fase drammatica della nostra vicenda nazionale, non è andato oltre la vulgata dominante. Anche Pavone si è ispirato, come egli stesso ha scritto in Una guerra civile, al «Cippo posto nel parco di Capodimonte» dove «si legge: ’Caduti in armi per la difesa del focolare. Addì 29 settembre 1943». Era la prima volta che i ’lazzari’ si trovarono nella storia dalla parte giusta».

I LAZZARI? La plebe napoletana che d’improvviso fa esplodere la propria viscerale rabbia e che casualmente si trova dalla «parte giusta della storia»? Proprio su questo giornale (28/2/2017) abbiamo ricordato, recensendo il bel Calendario Civile a cura di Alessandro Portelli, il saggio di Gabriella Gribaudi che mostrava il ruolo di primissimo piano avuto nella rivolta dalla classe operaia napoletana, insieme a ufficiali dell’esercito che si esposero in prima persona.
Aragno ha il merito di ricostruire il vasto e composito reticolo dei dirigenti politici, soprattutto comunisti, che ebbero un ruolo rilevante, prima, durante e dopo le Quattro giornate. Si è posta la domanda se «esiste un volto politico» di quell’evento. E ha dato una risposta fruttuosa, non solo utilizzando ricerche precedenti di altri storici – che per fortuna non sono mancate in questi anni – ma anche indagini sui fascicoli personali dei combattenti presso l’Archivio di Stato di Napoli e il Centrale di Roma e soprattutto sui verbali e materiali offerti dalla Commissione Regionale Campana per il Riconoscimento Qualifiche e Ricompense ai Partigiani.

UNA FONTE PREZIOSA ancorché non ordinata. L’insieme di questi documenti ha permesso all’autore di ricostruire innumerevoli profili di attivisti e dirigenti politici «che non rimandano solo a storie di militanza, ma rivelano la presenza sul campo di due generazioni di antifascisti, figli di culture politiche spesso in contrasto tra loro e tuttavia temporaneamente uniti nella lotta al fascismo».
Il volume – che tra l’altro offre in appendice 50 pagine di brevi profili biografici dei protagonisti – ricostruisce da vicino e sin dall’avvento del fascismo molte di queste figure, destinate a lavorare nella clandestinità, a Napoli e fuori, nel corso del ventennio e ad avere spesso un ruolo di rilievo nel dopoguerra. Sicché di notevole rilievo risulta la ricostruzione dei conflitti all’interno del fronte comunista napoletano, dove la linea di Togliatti, ebbe ad affermarsi tra non pochi conflitti e spesso brutalità. Storia tuttavia non di soli comunisti, ricorda Aragno. A riprova del carattere non plebeo delle Quattro Giornate l’autore non dimentica il ruolo che vi ebbero ufficiali dell’esercito, dirigenti liberali e perfino monarchici «antibolscevichi».