Siamo nel 2015 ma al vertice arabo in corso a Sharm el Sheikh la storia ha fatto un salto all’indietro di un migliaio di anni. I leader arabi, capeggiati dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, parlano dei ribelli yemeniti Houthi come se fossero la reincarnazione dei temibili Qaramita (i Carmati), gli ismailiti seguaci di Hamdan Qarmat stanziati nell’Arabia orientale che per decenni sfidarono apertamente il potere sunnita e nell’899 costituirono una repubblica sciita protosocialista. Contro i ribelli Houthi, i nuovi Qaramita, e soprattutto contro il loro sponsor, l’Iran accusato di “espansionismo”, a Sharm el Sheikh si è discusso della formazione in tempi stretti di una “Kowa al-askareya al-arabia al-moshtaraka”, la “Forza militare araba comune”. Si tratta, stando alle dichiarazioni di egiziani e sauditi, i promotori, di una forza di intervento rapido per contrastare ribellioni, invasioni e infiltrazioni terroristiche come quella dell’Isis. Ma le finalità sono decisamente più complesse e preoccupanti.

 

La Kowa di fatto è una estensione dello “Scudo del Golfo”, la forza militare di pronto intervento delle petromonarchie sunnite che abbiamo visto in azione nel 2011 in Bahrain, dove ha represso nel sangue le proteste di Piazza della Perla contro re Hamad bin Isa al Khalifa. Il suo vero compito sarà quello di schierare di fronte all’Iran – vicino alla firma il 31 marzo di un importante accordo sul suo programma nucleare e quindi a un riconoscimento internazionale molto temuto da Riyadh – una forza militare compatta di tutti i Paesi arabi. La crisi yemenita ha perciò riproposto l’antico scontro tra arabi e persiani. Più di tutto ha accentuato il conflitto in corso ovunque nella regione tra sunniti e sciiti. Le due barricate issate dopo l’attacco della Coalizione formata dall’Arabia saudita contro i ribelli Houthi vedono da un lato i principali regimi arabi sunniti (appoggiati anche da Pakistan e Turchia), e dall’altro quelli sciiti di Iran, Siria e gli Hezbollah libanesi.

 

Al Sisi è stato perentorio in apertura del vertice. «C’è una minaccia senza precedenti all’identità araba…minaccia che, dovesse estendersi, distruggerà la nazione araba», ha detto tra gli applausi dei presenti, inclusi quelli del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen che nei giorni scorsi aveva approvato l’attacco dei sauditi in Yemen. Hamas non commenta ma il movimento islamico, che ha appena ottenuto dall’Egitto l’annullamento della sentenza che lo descriveva come una organizzazione terroristica, certo non metterà in discussione le finalità dell’alleanza contro l’Iran, che pure è stato il Paese che più di ogni altro lo ha aiutato e sponsorizzato negli ultimi 20 anni. Da notare sono anche le dichiarazioni di un ministro dell’Anp e giudice islamico, Mahmoud Habbash. Durante il sermone del venerdì, Habbash ha invocato attacchi della nascente Forza militare araba su Gaza, «per riportare al potere il legittimo governo (di Abu Mazen) contro i golpisti (Hamas)». Al Habbash dimentica che furono le forze fedeli ad Abu Mazen, guidate dall'”uomo forte” di Fatah, Mohammed Dahlan, ora un reietto nemico del presidente palestinese, a pianificare nel 2007 a Gaza un golpe al quale reagì Hamas, vincitore delle elezioni politiche l’anno prima.

 

La “Kowa” di intervento rapido dovrebbe avere una dotazione massima di 40 mila soldati ben addestrati, in Egitto o in Arabia Saudita, con la disponibilità di aerei da caccia, navi e mezzi blindati leggeri. I tempi per la sua realizzazione concreta però non saranno così “rapidi”: ci vorranno mesi prima di arrivare alla riunione che ne approvi la composizione da