«Direzione Pd in bilico» scrivono le agenzie a tarda notte. Ma è più probabile che i dem oggi non si spaccheranno: ritroveranno un’unità che tutti sanno essere finta e fingendo di ’rifiduciare’ il reggente in realtà si riconsegneranno alla direzione sempre meno occulta dell’ex segretario Renzi. Almeno fino alla prossima puntata, e cioè a quando arriverà un’iniziativa di Mattarella per provare a dare un governo al paese. Forse già domani. Il presidente è il vero destinatario dell’attivismo dell’ex segretario perché considerato il regista delle mosse di Martina.

IN UNA GIORNATA, ieri, il Pd infila un’ampia casistica di iniziative che sono il contrario di quello che appaiono: dalla ’conta’ dei renziani per avvertire gli antirenziani di non contarsi; alla delegittimazione del reggente da parte dell’ex segretario che poi però si dichiara pronto a votargli la fiducia; dalla pace quasi fatta mentre però i renziani lasciano trapelare un minaccia: in caso di spaccatura in direzione, la maggioranza è pronta a avviare il congresso. Ovvero far decadere tutte le cariche eccetto quella del presidente Orfini, non precisamente un uomo del dialogo con le minoranze.

LA PRIMA MOSSA. Lorenzo Guerini, renziano moderato e lungimirante, raccoglie le firme su un documento che ribadisce il no «a un governo guidato da Salvini o Di Maio» con un’argomentazione che sorprende in un coltivato ex dc: «Significherebbe venire meno al mandato degli elettori». Sì, invece, a «un lavoro insieme a tutte le forze politiche, per riscrivere le regole del nostro sistema politico istituzionale». È la linea che Renzi ha dettato domenica da Che tempo che fa, su Raiuno, a cui Guerini aggiunge un appello all’unità e un no alla conta. Il testo però circola accompagnato da una «conta di fatto»: lo firmano 39 senatori su 52, e 80 deputati su 111. In questi numeri c’è già la maggioranza della direzione: 120 su 210.

LE MINORANZE INSORGONO. Ma alla maniera delle minoranze Pd: imbracciando l’iphone. «La conta promossa dai capigruppo per non fare la conta ancora non si era mai vista», tuona su facebook Andrea Orlando. Intanto il sito Senzadime.it, nato dallo zelo di un militante renziano (ma Democratica ’svelerà’ che in realtà è un bersaniano), pubblica la lista dei dem pro e contro il governo con M5S. Se ne ricava una lista dubbia di quelle che quando arrivano dal blog di Grillo fanno raccapriccio a tutti i sinceri dem. Commenti gravi di Franceschini, Martina chiede la chiusura del sito, rimproveri anche dai renziani. Il sito cancella i nomi e li sostituisce con polemici «omissis». «Era un’operazione trasparenza», si giustifica il gestore.

INTANTO I PONTIERI sono a lavoro. Dall’enews Renzi attacca Fassino per la linea pro-dialogo con i 5 stelle («Proprio lui che gli ha consegnato Torino», sbottano i suoi) e annuncia la firma sul documento «pro unità». La maggioranza in effetti vuole evitare la rottura: la sfiducia formale a Martina, quindi la sua uscita di scena, renderebbe evidente che i renziani non hanno un candidato per il congresso (Renzi aspetta con pazienza un passo avanti di Delrio, Delrio aspetta con pazienza un passo indietro di Renzi).

MA ANCHE GLI ANTIRENZIANI non possono sacrificare Martina sull’altare della chiarezza. «Il messaggio di Renzi è per Mattarella», spiega un dirigente ’collista’. «Renzi avrà anche i voti nei gruppi ma ormai è isolato. Per noi l’importante è che in direzione Martina porti a casa la fiducia su di sé e la disponibilità del Pd a rispondere alle imminenti iniziative del Colle». Cosa che del resto, si spiega, è già scritta nel documento dell’«arrocco» votato all’indomani delle dimissioni di Renzi ( «Il Pd non farà mancare il suo apporto al presidente della Repubblica, nell’interesse del paese», c’era scritto). C’è un omissis anche in questo caso: per le minoranze Martina alla reggenza, benché piegato alla linea Renzi, è sempre meglio di niente: in caso di voto anticipato, è garanzia di una qualche sopravvivenza. Non è un caso che fonti vicine a Orfini avvisano: se oggi la direzione dovesse spaccarsi l’assemblea nazionale potrebbe essere convocata il 12-13 maggio. E lì potrebbe aprirsi il congresso. Anche il pontiere Guerini spiega ai deputati che «il problema della fiducia a Martina non si pone affatto, fino all’assemblea ha piena fiducia. Poi deciderà l’assemblea se fare congresso o eleggere segretario». Nel Pd tira un’ariaccia: i dirigenti lombardi si schierano con Martina, i marchigiani con Renzi.

A SERA FRANCESCHINI chiude il caso: in direzione, dice, «non ci divideremo sulla prospettiva di un rapporto coi 5 stelle che non è più sul tavolo» dopo l’intervista su Raiuno di Renzi, ma per ripartire serve «un voto esplicito di fiducia al reggente». E, capolavoro di retorica, aggiunge: «Sono certo che Renzi, che ha a cuore come tutti noi l’unità del Pd, sarà il primo a votare la fiducia al suo ex vicesegretario». Martina prepara il documento della fiducia. Ma i suoi realizzano la fregatura: «Chiedere unità dopo che hai delegittimato chi sta gestendo questa fase è una presa in giro». È così. Infatti Renzi con i suoi fa il generoso: «Abbiamo chiuso la questione numeri. Adesso se Martina vuole un aiuto glielo diamo».