Martedì 2 aprile il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha annunciato una notizia attesa da molto tempo dal mondo della conservazione e non solo: il nuovo «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» è stato inviato alla Conferenza Stato-Regioni per l’approvazione.

PREDISPOSTO DALL’UNIONE ZOOLOGICA Italiana in collaborazione con l’ISPRA e con il contributo di ricercatori, enti e associazioni, il Piano arriva ben 7 anni dopo la scadenza del precedente datato 2002 che, con validità di 10 anni, era stato poi rinnovato per altri 5. Peraltro, tutte le azioni individuate nel Piano del 2002 erano rimaste praticamente inapplicate, incluse quelle ritenute «prioritarie», con l’unica eccezione di quanto realizzato attraverso vari progetti LIFE, cofinanziati dall’Unione Europea e portati avanti da parchi e associazioni: le cause della non-applicazione vanno ricercate nella mancanza di una vera volontà politica di intervenire, nell’assenza di coordinamento tra i numerosi enti pubblici (ministeri, regioni, enti gestori di aree protette, ISPRA, ecc.) e nella mancanza d’interesse (se non aperta contrarietà) di alcune componenti sociali ed economiche.

NEL PRESENTARE IL NUOVO PIANO, il ministro Costa ha posto molta attenzione sul fatto che lo stesso punti sulla gestione di eventuali conflitti e non sull’abbattimento dei lupi. Il tentativo fatto dal suo predecessore Galletti era naufragato proprio a causa della volontà dell’allora ministro di inserire nel Piano la possibilità di uccidere i lupi. Una proposta che bloccò l’iter del Piano a causa dell’opposizione delle associazioni ambientaliste (il WWF consegnò al Ministro 187.925 firme contro gli abbattimenti), ma anche di molte regioni. La decisione politica di consentire l’effettiva applicazione delle deroghe alla tutela integrale, autorizzando gli abbattimenti legali del lupo come strumento ordinario di gestione della specie, veniva fantasiosamente motivata quale contrasto al bracconaggio: in pratica consentire di abbattere legalmente i lupi avrebbe evitato che gli stessi fossero abbattuti illegalmente da quanti ritengono le loro attività economiche minacciate dalla presenza del predatore.

Fermo restando che probabilmente per il lupo sapere di essere stato abbattuto legalmente non sarebbe di grande soddisfazione, non era condivisibile considerare l’opzione degli abbattimenti legali tra le azioni attuabili per la conservazione e la gestione della specie in Italia. Volendo semplificare, in caso di necessità la Direttiva «Habitat» dell’Ue e le normative nazionali concedono la possibilità di derogare al divieto di uccisione del lupo in presenza di due fattori: l’inesistenza di un’altra soluzione valida e il non pregiudicare il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle popolazioni della specie nell’area di distribuzione naturale.

AD OGGI PER CALCOLARE LA POPOLAZIONE del lupo in Italia si distinguono due areali: quello alpino, dove la stima di 293 lupi viene dai rilievi del Progetto Life WolfAlps 2017/18 e quello appenninico dove, in assenza di un programma di monitoraggio unitario, la stima cautelativa di 1070 individui deriva da un metodo deduttivo basato sulle attuali migliori conoscenze. Le condizioni per attuare la deroga ad oggi non sono riscontrabili: da un lato perché in molte regioni non sono mai stati predisposti e implementati adeguati piani di prevenzione e contenimento dei danni alternativi all’abbattimento, dall’altro perché il Piano stesso indicava in uno stato di conservazione soddisfacente la popolazione presente nell’Italia peninsulare, ma non quella dell’area alpina.

SENZA CONSIDERARE CHE SULLO STATO di conservazione delle popolazioni di lupo incide la perdita di circa 300 esemplari ogni anno per cause antropiche (stima in difetto poiché non tutti i capi abbattuti vengono fatti ritrovare). Il Piano Galletti, quindi, pur contenendo anche molte misure utili, finiva per puntare sugli abbattimenti addirittura per contenere la crisi del settore zootecnico italiano che ha ben altri problemi legati a dinamiche di mercato e squilibri delle filiere, come ha dimostrato la recente crisi del latte ovino in Sardegna).

LEGALIZZARE GLI ABBATTIMENTI NON aggiunge nessun elemento di facilitazione né rispetto al contenimento dei danni agli allevatori, né rispetto alla mitigazione delle tensioni: una ricca bibliografia scientifica mostra come la concessione di quote di abbattimento di lupi non diminuisca il numero dei danni apportati agli allevamenti, ma anzi, in molti casi, finisca per aumentarli per ragioni legate all’etologia della specie. La stessa bibliografia attesta come le strategie di prevenzione dei danni basate su metodi non letali siano le uniche a portare risultati concreti , mentre la bibliografia legata alle scienze sociali evidenzia come la concessione di abbattimenti non porti alla diminuzione del conflitto.

L’esclusione degli abbattimenti nella nuova versione del Piano rappresenta così un importante passo avanti per creare le condizioni per una migliore convivenza con l’animale simbolo della natura italiana. Il nuovo Piano prevede più di 20 azioni che, partendo da un’analisi tecnicoscientifica, puntano alla conservazione della specie e alla risoluzione non cruenta dei possibili conflitti con le attività antropiche.

ESIGENZA PRIMARIA E’ CONOSCERE LA consistenza dei lupi in Italia attraverso l’attualizzazione dei dati sulla distribuzione. Un impegno straordinario deve essere messo in campo, attraverso specifiche azioni di prevenzione e contrasto delle attività illegali, al fine di ridurre i danni al bestiame e la mortalità causata dall’uomo. Così come sono fondamentali l’informazione e l’educazione ambientale verso le comunità locali: per questo il WWF, con il progetto «Viva il lupo» finanziato dal Ministero dell’Ambiente, sta anticipando in due Parchi nazionali (Sibillini e Gran Sasso-Laga) questa attività prevista dal Piano.

Oggi la lungimiranza delle battaglie che negli Anni ’70, a partire dall’Operazione San Francesco lanciata dal Parco Nazionale d’Abruzzo e dal WWF Italia, ha garantito la sopravvivenza di questo straordinario animale, deve essere accompagnata da un’intelligente gestione della convivenza, considerata anche la grande responsabilità che l’Italia ha nei confronti del nostro continente visto che si stima che circa il 10% dei lupi europei (Russia esclusa) vivono nel nostro Paese. Il nuovo Piano sembra andare nella direzione giusta. Il confronto in Conferenza Stato-Regioni, ma soprattutto la decisione finale sul testo, ci diranno se i tempi sono finalmente maturi per una corretta gestione della specie.