È una parabola contemporanea, profondamente politica, che cuce insieme le ferite più sanguinose che l’essere umano infligge, in fin dei conti, a se stesso, quella che Tommaso Di Francesco – condirettore di questo giornale e storica firma degli esteri – racconta in La balenottera Mar (Round Robin editore, con le illustrazioni di Mauro Biani, apprezzato vignettista del «quotidiano comunista»).

La «favola di mare» del duo Di Francesco-Biani si ispira a un episodio realmente accaduto: nell’autunno del 2014 sette balenotteri che avevano perso l’orientamento si spiaggiarono sulla costa di Punta Penna, in Abruzzo. Quattro di loro riuscirono a riprendere il largo, altri tre invece morirono. A provocare il balenicidio, con ogni probabilità, furono le perforazioni petrolifere al largo della costa, o meglio il sistema sonoro dell’air gun utilizzato per le prospezioni, caratterizzato da spari fortissimi e continui che resero sordi i cetacei e fecero perdere loro la bussola.
Basterebbe questo a fare del racconto una novella tout court ecologista. Tommaso Di Francesco arricchisce invece la storia di un ulteriore dramma: il naufragio di un barcone di immigrati, altra epocale tragedia della nostra epoca e dei nostri mari. Tra «assi di legno rotto, chiazze oleose, abiti e corpi affogati», affiora il grido disperato di un bambino, «uno solo», quasi a far da contraltare alle assordanti sirene delle piattaforme. Le coste adriatiche abruzzesi divengono così metafora dell’intero Mediterraneo, quello specchio d’acqua senza confini definiti «né nello spazio né nel tempo» mirabilmente analizzato da quel grande «filologo del mare» – parola di Claudio Magris – che è stato Predrag Matvejevic, solcato da migrazioni che evocano guerre e spaventosa povertà, depredato delle sue ricchezze e minacciato dai cambiamenti climatici.

In mezzo a tanta innaturale distruzione, non poteva mancare, come in ogni favola che si rispetti, il lieto fine che però è solo un effetto ottico: la balena Mar salva il piccolo naufrago, caricandoselo in groppa e trasportandolo a riva, ma gli altri migranti non seguono la stessa sorte, allo stesso modo in cui non tutti i balenotteri riescono a salvarsi.

La balena Mar guida poi l’assedio di cento balene alla piattaforma petrolifera, una sorta di manifestazione marina non autorizzata che dura una notte, un giorno e una notte ancora prima che i cetacei si inabissino «verso il profondo più profondo», come talpe nella terra dalla quale un giorno forse, da qualche parte, riemergeranno. Ciononostante, le trivellazioni non paiono fermarsi, allo stesso modo in cui i pacifisti, «la seconda superpotenza mondiale» in una celebre definizione del New York Times ai tempi della seconda guerra all’Iraq, non sono riusciti a raggiungere l’obiettivo di far tacere le armi.

In fin dei conti, oltre che un atto di denuncia della rapacità del capitalismo globalizzato, che non si cura di saccheggiare le risorse del pianeta e di provocare esodi biblici pur di raggiungere i suoi fini, e più che un messaggio di speranza nelle magnifiche sorti e progressive dell’umanità, quello di Tommaso Di Francesco e Mauro Biani pare essere un appello agli umani. A rimanere cetacei, dunque animali.