Merito di Mediterraneismo. Il pensiero antimeridiano, il nuovo saggio di Francescomaria Tedesco, edito dalla rinata Meltemi (pp. 196, euro 15), è quello di segnalare, non senza sarcasmo, il costituirsi, in tempi recenti, di un campo culturale «controllato» in cui il Sud e il Mediterraneo diventano elementi distintivi di una fantomatica alterità possibile (e vendibile nell’attuale mercato dell’immaginario).

L’ASSE PORTANTE del ragionamento di Tedesco rovescia gli esiti rivendicativi di tutta una stagione «meridiana» che aveva insistito sulla «differenza» e sull’eccezionalità dell’identità meridionale. Ambendo alla rottura del discorso dominante, essa, a parere dell’autore, non ha fatto altro che produrre una nuova «orientalizzazione» del Sud, con tutto il seguito di essenzialismi che l’operazione si porta dietro. Il Meridione è così divenuto, nel discorso culturale, il luogo dell’autenticità, della lentezza che si oppone al turbine dinamico del capitalismo, o la sede di una presunta omogeneità oppositiva, in grado di avversare, per suo stesso statuto identitario, qualsivoglia potere coercitivo.

È EVIDENTE che il bersaglio polemico sia il «meridianismo» di Cassano e il successo che tale approccio ha ottenuto. Ed è altrettanto chiaro come Tedesco si muova all’interno di una tradizione di pensiero (anch’essa non priva di incrostazioni e mitologie) che decostruisce e demistifica i discorsi culturali, mostrandone le logiche e le relazioni coi nessi sociali: il suo riferimento, ammesso sin dal titolo, è Edward W. Said, autore, si ricorderà, del celebre Orientalismo, dedicato alla decostruzione dell’immaginario occidentale sull’Oriente. Eppure, attraverso l’analisi di un repertorio culturale molto vasto, dalla letteratura alla canzone popolare, dal costume all’antropologia filosofica, Tedesco non si limita a mettere in campo un oppositivo «antimeridianismo», ma delinea, almeno in nuce, i presupposti attraverso cui si è dispiegata, nel tempo, una nuova «cosmologia popolare» in cui il meridionalismo, rivendicando la supposta superiorità del Sud, ha finito per produrre, oltre ai soliti localismi da campanile, una retorica identitaria ancora una volta assai «esotica» e dunque prigioniera di schemi rappresentativi.

DA QUI IL SORGERE di una pubblicistica al limite dell’indecenza storiografica, con tanto di rigurgito neoborbonico. Cosa resta fuori? Un ragionamento politico sulla bandita questione meridionale, ora ridotta a una sorta di brand del mercato meridiano, nel quale potersi riconoscere (e attraverso il quale pacificare un possibile conflitto).
Il libro si legge con gusto e interesse. Dialoga forse eccessivamente con altri testi, privilegiando spesso più l’attraversamento delle posizioni che l’esplicitazione di una tesi. E forse è questa una spia del metodo che Tedesco adotta: certo, una decostruzione senza requie dei dati culturali, in cui il contraltare dialettico è sempre dietro l’angolo, e che la bravura dello studioso rende manifesto, ma anche una decostruzione di cui talvolta si desidera la fine o l’approdo a una verità.

È PERÒ LA MATERIA vivente dei processi che Tedesco prende in esame a dettare questa logica, in fondo: il sorgere di un meridianismo giustificativo, che ormai possiede una cospicua tradizione, produce continuamente immagini concilianti e quietistiche, assai seducenti per i consumatori culturali. Che vi sia un proliferare di libri, festival o di sfilate intellettuali in nome di un Sud tipizzato, mitico e ancestrale, è fuor di dubbio. E che tutto ciò sia l’esito di una depoliticizzazione amministrata, è merito di questo libro mostrarlo con acribia sottile.