«Da cittadino di Monaco, Süden da tempo non si meravigliava più che i neonazi distribuissero volantini razzisti nelle scuole e che i pregiudicati, nonostante il divieto, potessero incontrarsi ai concerti di certi gruppi rock in Franconia, mentre i servizi segreti bavaresi stigmatizzavano come di estrema sinistra organizzazioni di cui erano ampiamente dimostrati gli obiettivi liberali e democratici». Partendo dalla richiesta di una giovane donna, che si rivelerà essere una attiva militante neonazista, che intende rintracciare il suo compagno apparentemente scomparso, il detective privato Tabor Süden, già commissario di polizia nella metropoli bavarese, dovrà misurarsi di nuovo con le tante coperture di cui godono gli ambienti della destra radicale in Baviera, così come gli era capitato quando era ancora in servizio.

In M come Mia (pp. 304, euro 13,50), pubblicato nella collana dedicata ai giallisti tedeschi dell’editore Emons, Friedrich Ani, uno degli autori noir più noti del paese con all’attivo oltre una ventina di romanzi e diverse sceneggiature tv, guida il lettore attraverso un mondo caratterizzato dall’odio e dalla violenza, entro il quale si muovono personaggi insospettabili ed inquietanti.

Perché scegliere proprio una giovane donna come protagonista di un noir che indaga sull’ambiente neonazista?

Al centro dei miei romanzi ci sono sempre personaggi che conoscono un travaglio emotivo, esprimendo tutta la loro complessità. In questo caso Mia, una donna dalla doppia vita, giornalista di professione e neonazista per idee e temperamento, una personalità per certi versi scissa, a tratti incerta tra la sua fedeltà alla comunità militante e i propri sentimenti per un uomo esterno a questo ambiente e che proprio per questo finirà per mettere in discussione anche la segretezza in cui si muovono i suoi camerati.

Ma non è un paradosso che sia una donna a raccontare un universo a prima vista prevalentemente maschile?

In realtà documentandomi per molti mesi sul circuito neonazista, in Germania ma anche nel resto d’Europa, per scrivere il libro, ho scoperto con sempre maggiore interesse e preoccupazione l’esistenza di molte associazioni, spesso formate da genitori, che si dedicano all’educazione dei bambini in senso nazionalista e spesso razziale, vale a dire ad esempio tra soli bianchi. Sono gruppi in grande crescita negli ultimi anni sia nei paesi di lingua tedesca che nel Nord Europa che talvolta utilizzano i libri per l’infanzia del Terzo Reich o anche testi scritti oggi ma che si ispirano alle medesime idee. In questa rete di formazioni che organizzano doposcuola, colonie e campi estivi, tutti rigorosamente ispirati alla destra radicale, le donne sono di gran lunga più numerose.

Lei rifugge dalle semplificazioni e racconta il mondo del radicalismo nero lontano dal folklore nostalgico o dalla sola violenza degli skinheads. Il problema è ben più radicato?

In effetti la cosa più preoccupante è che in questo circuito sono presenti diversi ambienti sociali. Non solo i giovani marginali e violenti, per quanto terribili siano le loro azioni, o gli hooligans del calcio ma anche piccoli imprenditori o commercianti, come il padre di Mia che è un albergatore, figlio di un ufficiale nazista condannato a Norimberga, che offre ospitalità alle riunioni e ai congressi della destra radicale ed è forse anche un informatore della polizia. A tali gruppi aderiscono poi diversi membri dei corpi di polizia locali e probabilmente dell’intelligence nazionale che non a casa hanno sottostimato a lungo questa minaccia.

Nel libro torna il ruolo ambiguo di informatori e infiltrati, che non hanno impedito che fossero commessi crimini anche molto gravi, già emerso ad esempio nel processo contro il «Nationalsozialistischer Untergrund» (Clandestinità Nazionalsocialista, Nsu), un gruppo terrorista responsabile di una decina di omicidi razzisti. Un fenomeno che interroga la società tedesca?

In effetti proprio in occasione del processo ai membri della Nsu sono riemerse le coperture di cui tali ambienti sembrano aver goduto per anni da parte dei servizi di sicurezza interni e di cui proprio per questo ho scelto di dare conto nel libro visto che si tratta di una storia iniziata già negli anni Ottanta e che ha visto la polizia locale e l’intelligence federale concentrare, come ricorda personalmente anche Süden, ogni sforzo verso qualunque associazione progressista e ignorare pressoché del tutto la minaccia bruna.

Quando si parla di questi fenomeni si citano soprattutto le zone della ex Rdt, regioni come la Sassonia e la Turingia dove il neonazismo emerge sul fondo della crisi sociale. Eppure in questo romanzo è la borghese Monaco ad essere protagonista. Perché?

Perché sotto l’aspetto rassicurante e tranquillo della Baviera da cartolina, con la festa della birra e i fiori colorati ai balconi, si cela una realtà che ha visto emergere proprio a Monaco fin dal dopoguerra i primi gruppi neonazisti, con l’Npd, il maggior partito di questo ambiente, che ha ancora un eletto nel consiglio comunale. Senza contare che oltre la metà degli omicidi compiuti dalla Nsu tra il 2000 e il 2007 sono avvenuti proprio in Baviera. Addirittura allo stadio, tra i tifosi della seconda squadra della città capitale del land, il Monaco 1860 che milita in serie B, c’è un ampio settore occupato ogni domenica dai neonazisti. Anche questa è la Baviera.