Juana indossa una tunica fucsia di spesso cotone, con un intreccio di disegni colorati della tradizione maya ixil. «Queste stoffe le produciamo con la cooperativa. Superare la dipendenza economica è un primo passo per l’emancipazione della donna». Il bianchissimo sorriso illumina il viso anche quando parla delle compagne assassinate per il loro impegno sociale.

Juana Bacà Velasco è presidente di Asoremi (Asociasion Red de Organizaciones de Mujeres Ixhiles) e direttrice della Defensoria de la Mujer I’X, casa d’accoglienza di Nebaj, creata nel 2010 in collaborazione con il Cisv, Onlus torinese, che ha aiutato donne vittime di violenza in più di 3500 casi.

 

 

METÀ DEI SUOI ANNI Juana li ha passati a lottare per i diritti delle donne e contro le discriminazioni verso la sua gente, i maya ixil del Guatemala. Ha una laurea in Scienze sociali e sta finendo gli studi in Giurisprudenza, intrapresi dopo l’attentato subito nel 2004 a cui è fortunosamente scampata.

«Bisogna trasformare le minacce in opportunità – dice -. Volevo che fossero rispettate le leggi esistenti e se ne scrivessero di migliori. Volevo che gli assassini venissero puniti».

Il sistema giudiziario del suo Paese ha assolto in secondo grado i militari responsabili di genocidio che, dietro le quinte, esercitano ancora il potere insieme a poche ricchissime famiglie. La commedia della democrazia è affidata alla maschera grottesca di un ex comico, il presidente Jimmy Morales, eletto grazie alla sua popolarità televisiva e alle promesse di rinnovamento e lotta alla corruzione, rapidamente abbandonate per allinearsi alla politica dei militari e delle oligarchie nazionali.

Juana viene da una famiglia di militanti, abituati alla lotta: suo padre è stato fatto scomparire durante la guerra civile. La sua anziana madre non lo ha più visto dal 1980.

LA RESISTENZA DEI MAYA IXILES non si è mai fermata nonostante la distruzione di 448 villaggi, anche con l’uso di napalm, durante i 36 anni di guerra civile, che si è conclusa con gli accordi di pace firmati a Oslo nel 1996 e un bilancio di 200mila morti. I familiari delle vittime a tutt’oggi scavano in molte parti del Paese alla ricerca delle fosse comuni dove sono state sepolte più di 50mila persone, di cui 5mila bambini.

Il Guatemala è da sempre legato a doppio filo agli interessi geostrategici statunitensi, da quando nel 1954 gli Usa rovesciarono con un colpo di stato organizzato dalla Cia il governo eletto, a cui seguirono una lunga serie di governi militari. I generali guatemaltechi, in cambio della loro fedeltà, hanno ricevuto dagli Stati uniti carta bianca per la repressione interna e ingenti finanziamenti che il popolo però non ha mai visto.

LA SITUAZIONE ECONOMICA del Paese è gravissima. La povertà colpisce il 33% delle persone, tra le popolazioni rurali è endemica raggiungendo il 77%. Le donne che svolgono lavori precari, quasi sempre senza uno stipendio, sono il 44%, percentuale che sale al 60% nelle zone rurali.

Le violenze sessuali non si contano, anche per la difficoltà a sporgere denuncia visto che le istituzioni competenti per raccoglierle sono lontane 8-9 ore dalle zone interne del Paese. Molte maya inoltre non parlano spagnolo e il sistema giudiziario, come quello politico, le discrimina: la percentuale della rappresentanza femminile è irrisoria, in parlamento le donne sono il 12%, mentre le sindache sono solo il 3%. La scolarizzazione delle ragazze si ferma spesso a quella primaria, solo il 46% accede alla secondaria.

IL GUATEMALA è uno dei posti più pericolosi al mondo, soprattutto per le donne. Il numero dei femminicidi è altissimo, nel 2017 sono stati 221, spesso perpetrati da mariti e parenti, mentre solo l’1,5% degli imputati è stato condannato.

Contro tutto questo Juana ha cominciato a battersi e contro tutto questo ha creato la Defensoria e la «Red» come viene chiamata per brevità la Asoremi. Il lavoro delle associazioni è iniziato con la difesa del corpo della donna. Per sradicare la mentalità maschilista, purtroppo condivisa anche da alcune donne, le associazioni hanno aperto dei tavoli di discussione con diversi attori sociali iniziando dai pastori evangelici. «La loro parola, soprattutto nelle zone rurali, è legge – racconta Juana -. Tendono ancora a giustificare le violenze, facendole apparire come normali, e si appellano all’unità famigliare».

Il dialogo sociale partito da Nebaj ha coinvolto altre 4 municipalità della regione Quiché. Un lavoro importante viene fatto attraverso i centri educativi e gli sportelli legali.

MA IL LAVORO DELLA RED si allarga anche ad altri settori: «Abbiamo attivato corsi di formazione professionale e creato una cooperativa sartoriale e una attività di catering. Un’iniziativa che infastidisce particolarmente gli uomini è la concessione di microcrediti alle donne per aprire attività proprie».

La Red de Mujeres negli anni ha ampliato il proprio raggio d’azione includendo battaglie per i diritti umani. «Dopo molte segnalazioni ricevute abbiamo iniziato a denunciare i bar illegali in cui, dietro alla vendita di alcolici, si nasconde la tratta di persone e lo sfruttamento sessuale dei minori – prosegue Juana -. Abbiamo preteso una legge che li regolamentasse e intensificasse i controlli, e l’abbiamo ottenuta nel 2017. Purtroppo le istituzioni non sono sensibili o non vogliono vedere quel che succede e chi gestisce le cantine rimane impunito». L’impunità in Guatemala sembra essere il principale macigno che grava sulla società.

«IL PRESIDENTE Jimmy Morales è impegnato nello smantellamento della democrazia, da sempre precaria in Guatemala. Sta ostacolando tutte le proposte di legge sui diritti umani e lavorando invece a una amnistia per i militari responsabili del genocidio che sostengono il suo governo». L’azione più grave è stata la revoca del mandato alla Commissione internazionale contro l’impunità (Cicig) creata dalle Nazioni unite e l’espulsione dei suoi rappresentanti. Tutti quelli non allineati sono sotto tiro. «Sta tentando di mettere al bando le Ong o di piegarle al volere governativo», denuncia Juana.

L’ATTACCO alle classi più povere non ha risparmiato un pilastro per l’emancipazione del popolo, la cultura: «Nel 2013 il governo ha depotenziato e declassato i corsi per insegnante che preparavano alla professione. Solo nella regione Ixil circa mille giovani sono stati costretti a emigrare, avendo perso la speranza di farsi una cultura e ottenere un lavoro».

Negli anni Novanta, con l’emigrazione di ritorno dagli Usa, si sono formate le maras, bande criminali che controllano il traffico di droga e parti intere del Paese, arruolando i giovani delle famiglie più disagiate. La violenza e la povertà hanno spinto molte madri a confluire, con quelle di tutto il Centro America, nelle carovane umane respinte al confine statunitense militarizzato da Trump.
Molte altre donne guatemalteche invece si stanno unendo alla lotta di Juana. «Migrare espone a grandi rischi e non è una soluzione. Dobbiamo trovare la forza per costruire una società diversa, uscire dalla povertà e dall’ignoranza, e lottare perché i diritti sanciti dalla Costituzione siano rispettati».

Benché le associazioni di cui fa parte Juana siano apolitiche, gli attentati contro lei e le sue 368 compagne si moltiplicano con l’ampliarsi della lotta. Nell’ultimo anno, in tutto il Paese, 24 attivisti e attiviste per i diritti umani sono stati uccisi. Nella regione Ixil, da cui proviene Juana, negli ultimi 8 mesi sono stati ammazzati 4 donne e un uomo.

L’ULTIMA DONNA della Red de Mujeres a cadere, sotto 9 proiettili in un pomeriggio del 21 settembre scorso, è stata Juana Ramirez Santiago, maya ixil, levatrice, membro del direttivo di Asoremi e storica paladina dei diritti umani. «Potevamo cedere. Ma non l’abbiamo fatto. Quello che ci tiene vive è la lotta» dice ancora Juana, che dal 2006 è costantemente accompagnata da una guardia del corpo. Nonostante la paura per la propria incolumità e il dolore per gli omicidi delle compagne dice di essere felice. «Combatto ogni giorno affinché le nostre figlie non subiscano la sorte che è toccata alle generazioni che le hanno precedute, questo è uno stimolo fortissimo che riempie la mia vita di gioia. Sappiamo che il percorso sarà lungo e dovremo pagare un prezzo alto, ma rimanendo unite alla fine avremo ragione delle ingiustizie».

PER CONTINUARE A DIFENDERE i diritti umani e le loro stesse vite le donne ixil hanno bisogno di tutta la solidarietà possibile. «Le volontarie che ci sostengono da ogni parte del mondo sono linfa vitale. Gli assassinii delle nostre compagne, come quello di Juana Ramirez Santiago, non ci indeboliscono perché l’esempio che queste donne hanno dato vivendo e lottando fino a sacrificare la propria vita rafforzano la nostra volontà di combattere».

Parlando all’Università di Torino, rivolgendosi alle ragazze che assistevano, Juana Bacà Velasco ha detto: «Anche se uccidessero tutte le guatemalteche ci saranno sempre ragazze e donne di altri paesi che proseguiranno la lotta».