Nathalie (che ha le forme morbide di Karin Viard) è una donna sull’orlo di una crisi di nervi. Divorziata, sulla soglia dei 50, crede che il mondo le sia improvvisamente ostile: la menopausa incombe e porta sbalzi d’umore, l’ex-marito si è rifatto una vita con un’altra, nella scuola dove lavora arriva una nuova insegnante, giovane e un po’ sfacciata antagonista. Persino la figlia, una ragazza nel fiore degli anni con il sogno di diventare ballerina, si ribella. In ogni donna vede una pericolosa minaccia. Un esercito di Eva Harrington, come nel film di Mankiewicz, pronte a sostituirla nel ruolo di «titolare» alla prima esitazione. Nathalie si fa travolgere dall’ansia, reagisce con impulsività, si abbandona agli istinti peggiori e non disdegna neppure l’idea di affogare i dispiaceri nei drink.

In più ha l’imperdonabile vizio della sincerità. Dice quel che pensa in ogni occasione, non curante delle conseguenze né di poter ferire i sentimenti altrui. Le fragilità della donna hanno la meglio sulla razionalità e, combinato qualche guaio di troppo, non le resta che ammettere la situazione e provare a ritrovare la serenità. Ma i fratelli David e Stépahne Foenkinos, che de Il complicato mondo di Nathalie (più esatto l’originale Jalouse) firmano insieme sceneggiatura e regia, non hanno la visione d’autore di Claire Denis, che nel recente L’amore secondo Isabelle, su un presupposto simile, riusciva a imbastire un discorso amoroso tra il sensuale e il filosofico, una sorta di melodia be-bop fatta di lacrime e sussulti, di slanci e di arresti, di grazia e ironia.

Applicano invece un certo gusto per il cinema francese «courant dominant» e compendiano, tra commedia e dramma, tutte le nevrosi e i cliché della «donna isterica» di mezza età, facilmente risolti, ça va sans dire, a colpi di yoga e nuotate in piscina. Sorge il dubbio che per indagare davvero a fondo nelle infinite pieghe dell’animo femminile, nel mistero di un corpo che cambia, nel peso degli anni che passano, nel desiderio di una nuova chance di felicità, sia necessario lo sguardo di qualcuno che quelle cose le comprenda, le viva, o le possa almeno immaginare per poi tradurle in cinema.