Gli umani hanno sempre alterato i propri stati di coscienza. Per perdere il controllo, per uscire da sé, per sottrarsi a quella fatica del vivere di un animale sociale che ha la sua singolarità solo perché «abita» in società. Alcol, erbe, funghi, sostanze chimiche presenti in natura: tutto è stato usato nel corso dei secoli per questo desiderio di «evasione». Eppure a un certo punto della storia europea è accaduto qualcosa che ha segnato una discontinuità in queste consolidate consuetudini, blandamente stigmatizzate solo quando la dipendenza dall’alcol o dall’oppio in Asia superava il livello di guardia.
Michel Foucault scrive in Storia della follia che la presa in cura e il governo della nuda vita sono diventati gli elementi che distinguono la modernità capitalistica dalla storia precedente.

Laurent de Sutter, docente belga-francofono, prova a spingere lo sguardo oltre la constatazione di quella discontinuità, individuando nell’anestesia – cioè il controllo dei corpi e delle menti dei riottosi all’ordine costituito – uno degli elementi fondanti il Narcocapitalismo, come recita il titolo della raccolta di scritti recentemente pubblicata da ombre corte (pp. 104, euro 10). Un libro divertente da leggere, pieno di informazioni che attestano il fatto che da Sigmund Freud allo sviluppo dell’industria farmaceutica capitalistica c’è una linea di continuità difficile da occultare.
All’alba del Novecento, una schiera di chimici, biologi, medici, psichiatri indossano il camice per mettere a punto medicine e sostanze che consentano il governo delle vite sia delle «classi pericolose» (il proletariato di allora) che degli irrequieti, i «fuori di testa», gli eccentrici con l’obiettivo esplicito di farli tornare alla normalità, abbassando il livello di dolore fisico e cognitivo di vite ai margini, borderline.

De Sutters si sofferma su tutto ciò per segnalare che il successo di farmaci, bevande (la Coca Cola era una bibita stupefacente), imprese è dovuto proprio a questa ambivalenza: curare il dolore, riportando a una normalità eterodiretta uomini, donne, classi sociali.
Dunque, ci sono medicine che servono ad abbassare il dolore (l’anestesia), consentendo così ai chirurghi di poter operare senza fare i conti con chi è sotto i loro ferri. Le donne possono partorire attenuando la sofferenza, gli «eccitati», i «fuori di testa», i soldati possono essere mandati a farsi massacrare al fronte: tutti possono contare su farmaci che li aiutino a gestire stati alterati della coscienza, mentre i profitti di quella che diventerà Big Pharma lieviteranno progressivamente fino ai livelli scandalosi dei prezzi di alcune medicine e barbiturici contemporanei. Poco valgono le segnalazione di «inopportuni» – e spesso letali – effetti collaterali. Il narcocapitalismo non fa prigionieri, si legge tra le righe di questo libro.

Divertenti, come detto, le pagine sull’amore di Freud per la cocaina, preziose le informazioni sulla morfina e su altri farmaci messi a punti nel lungo Novecento, comprese quelle relative alla pillola anticoncezionale, che costituisce una sorta di contraddizione vivente: non cura, anzi è pensata per alterare il corpo delle donne. Ma giustamente, come hanno affermato con chiarezza politica cristallina i vari movimenti femministi, l’autodeterminazione del proprio corpo e desideri non può essere piegata a una visione normativa e organicista di salute e malattia.
I farmaci servono così ad affermare una idea di normalità e di governo autoritario della società – belle sono le pagine sulla notte che da possibile regno della trasgressione deve essere riportata a una trasgressione addomesticata, cancellando la distinzione tra giorno e notte, tra lavoro e riposo, perché la produzione di merci è h.24, sebbene i ritmi che impone ai singoli siano intollerabili, bestiali. Allora vanno bene cocaina, anfetamine, barbiturici e chi più ne ha più ingerisca. C’è quindi una dimensione politica, collettiva che va messa a tema.

De Sutter si inoltra nel sentiero dell’analisi delle folle, di quell’uscire da sé che è rappresentato dalle folle stesse. Cerca di individuare possibili percorsi politici di liberazione nel passaggio dal singolo alla folla. Stimolante è l’analisi delle tesi di Beatrice Preciado sull’hacking ormonale, la rottura dei codici dominanti della farmacopea: una indicazione politica rimasta purtroppo limitata a ristretti gruppi di attivisti lgbt.
Quel che emerge nel libro è l’invito a misurarsi con il concetto di psicopolitica nel governo delle vite. De Sutter lo contrappone alla biopolitica foucaultiana. Tanto la psicopolitica – cioè una psicologizzazione dei comportamenti individuali e collettivi al fine di depotenziarne la conflittualità – che la biopolitica sono tuttavia elementi complementari. Come spezzare il cortocircuito o il cerchio magico tra biopotere e forme di resistenza è la posta in gioco di chi vuol rompere la gabbia psicopolitica del narcocapitalismo. Occorre cioè inoltrarsi in quella terra di nessuno che è l’intreccio tra vita e lavoro, tra produzione e riproduzione, tra definizione e mutamento dei rapporti sociali di produzione. Certo, si possono fare incontri inattesi e non sempre entusiasmanti (la depressione di massa, l’infelicità divenuta normalità, la rabbia autodistruttiva) ma è necessario correre il rischio. Perché maggiore il pericolo, maggiori – si spera – sono le capacità di salvezza dal narcocapitalismo.