Un po’ di grazia per alleggerire la dura realtà. Negli ultimi giorni, dei militanti associativi – l’idea è venuta al Secours Catholique – pubblicano sui social delle foto con l’invito: “Sono Vincent (o Léa o altri nomi), vengo a fare la doccia a Calais”. E’ la risposta ironica alla recente affermazione del ministro degli Interni, Gérard Collomb: toilette e docce per i migranti trasformerebbero Calais in un “punto di fissazione”, attirando persone, mentre l’obiettivo del governo è di impedire che si formino di nuovo degli accampamenti improvvisati, dopo la distruzione della “giungla” nell’ottobre 2016. A Calais vagano di nuovo centinaia di persone, almeno 700 per le associazioni, 450 per le autorità, sempre con l’obiettivo di tentare l’attraversamento della Manica per recarsi in Gran Bretagna. La Prefettura e il comune hanno dovuto rimettere dei rubinetti per l’acqua e dei gabinetti, dopo che il Consiglio di stato, il 31 luglio scorso, ha confermato una sentenza del tribunale amministrativo di Lille, che ordinava di fornire dei servizi sanitari d’emergenza ai migranti, ridotti a subire “trattamenti inumani e degradanti”. Ma le docce non ci sono ancora per tutti, ne esistono solo alcune “terapeutiche” per chi è affetto da malattie della pelle. Per Médecins du monde, “la questione delle docce è centrale”, vista la diffusione delle malattie dovute alla mancanza di igiene. Ma per il Prefetto, la risposta dello stato è “equilibrata”, con dei punti d’acqua mobili ridotti al minimo. I pochi rubinetti disponibili sono diventati una nuova fonte di tensione tra comunità. Nelle ultime settimane, si sono verificati scontri a Calais e dintorni. Un’inchiesta realizzata il 17 e 18 agosto, interrogando 162 persone, mette in luce la precarietà di vita: il 76% afferma di aver subito interventi repressivi della polizia, che distrugge sistematicamente il poco materiale di cui dispongono i migranti. In media, stando a questa inchiesta, le persone rifugiate a Calais non dormono più di 4 ore per notte. Human Rights Watch aveva denunciato a fine luglio l’utilizzazione di gas urticante da parte della polizia, un non rispetto dei diritti dell’uomo “di eccezionale e inedita gravità” a Calais. Per Vincent De Cornick, del Secours catholique, i rubinetti al contagocce sono una risposta “nulla”, “una situazione risibile, pietosa”.

Al vertice di ieri all’Eliseo, Macron ha presentato di nuovo il programma già delineato a grandi linee in un discorso a Orléans il 27 luglio scorso: l’idea è di coordinare varie iniziative, dalla lotta alle rete dei trafficanti all’aiuto al ritorno per chi non ottiene l’asilo, passando per una più efficiente sorveglianza delle frontiere, apertura di hotspot in Niger e Ciad per esaminare sul posto le domande con la presenza di funzionari francesi dell’immigrazione e investimenti in Arica per rilanciare l’economia (ma, en même temps, il governo ha tagliato di 141 milioni di euro l’aiuto allo sviluppo per quest’anno). Nei dintorni di Calais sono stati aperti l’8 agosto scorso dei centri di accoglienza, con lo scopo di accelerare le risposte alle richieste d’asilo. Ma la maggior parte dei migranti presenti a Calais “sono in transito, non vogliono chiedere l’asilo in Francia”, ma sperano sempre di arrivare in Gran Bretagna, spiega Corinne Torre di Médecins sans frontières. Se i migranti rifiutano di chiedere l’asilo cadono sotto la procedura di Dublino (la maggior parte è entrata dall’Italia e qui dovrebbe venire rimandata). Cosi’, questi centri sono occupati solo parzialmente e soprattutto da persone che vengono da Parigi, dopo l’ennesimo sgombero degli accampamenti improvvisati a Porte de La Chapelle (2459 evacuati nell’estate).