Il libro di Enrico Pedemonte Paura della scienza (Treccani, pp. 281, euro 21) si interroga sulle ragioni della perdita di fiducia nella scienza che ha spinto gruppi sempre più consistenti di cittadini a contestarne l’affidabilità. Sebbene orienti con le proprie decisioni in aree sempre più rilevanti della società, o forse, proprio per questo, la scienza fatica a essere percepita come neutrale. L’ideale illuminista di una disciplina completamente votata alla verità e priva di incertezze epistemologiche, capace di validare universalmente e oggettivamente le proprie scoperte è stato messo a dura prova dalle disavventure capitate fin dal secolo scorso.

L’EXPERTISE SCIENTIFICO è sempre più cruciale in ogni scelta politica. Ma questa interdipendenza con le sfide governative aumenta le ingerenze che le diverse agenzie di potere esercitano per portare gli scienziati dalla propria parte. Pedemonte ricostruisce molte delle dispute che hanno ridotto la credibilità della scienza, tra queste le pressioni degli industriali per annacquare i risultati scientifici ai fini di difendere le proprie fonti di profitto. Un caso emblematico è la lobby del fumo che ha finanziato centri di ricerca per seminare dubbi sui risultati che collegavano le sigarette alle malattie polmonari, oppure l’uso della radioattività nell’industria senza considerare i rischi per la salute. Ma si potrebbe continuare.

La scienza ha tante aree che possono anche essere in lotta tra loro, contribuiscono con la loro rappresentazione del mondo a sostenere le diverse parti dei conflitti, anche ideologici, a favore o contro i processi di sfruttamento economico. Già Norbert Wiener, padre della Cibernetica, poco prima di morire negli anni ’60, in un libro uscito postumo, dal titolo L’invenzione (1993), riteneva che la scienza fosse diventata quella dei megadollari, più interessata a ottenere profitti e a brevettare scoperte, che a impegnarsi per il sapere. L’equivoco rispetto alla sfiducia nella scienza nasce dalla credenza che sia possibile una conoscenza non situata e universalmente validata, nella quale gli scienziati svolgano il ruolo di sacerdoti dediti al culto incontrovertibile della verità. Sappiamo dalla storia, invece, che la scienza deve il suo prestigio e la propria affidabilità proprio all’essere costantemente sottoposta al vaglio di una confutazione.

È l’aura di presunta insindacabilità a renderla poco credibile quando si confronta il proprio ideale di sapere con la realtà degli esperti in disaccordo tra loro sulle interpretazioni dei fenomeni, per esempio assistendo agli interminabili dibattiti televisivi tra epidemiologi, durante la recente pandemia. Né possiamo sottovalutare le conseguenze della libertà nella scelta dell’oggetto della ricerca e delle condizioni sperimentali, dettata non solo dalla curiosità degli scienziati, ma spesso anche da spinte esterne come le fonti di finanziamento.

LA DECISIONE sull’ambito di indagine non ha nulla a che fare con il metodo scientifico, attiene invece alla politica della conoscenza. Nel libro si citano i dati del progressivo aumento dei finanziamenti privati che già sopravanzano quelli pubblici. Maggiori sono gli interessi privati nella ricerca e i conflitti di interesse, più ingombranti sono i vincoli che gli scienziati devono rispettare, tanto da rischiare di impedire un’azione a esclusivo beneficio dell’umanità. Per comprendere la trasformazione della scienza dobbiamo considerare che la ricerca è sempre più interessata alla previsione del futuro, con l’obiettivo di un intervento correttivo degli esiti delle anticipazioni: non si limita, cioè, solo a comprendere i fenomeni.

Nel caso dei dati sul riscaldamento globale non sappiamo se le previsioni saranno verificate se non si invertirà la rotta, ma vogliamo agire prima che sia troppo tardi. L’intervento a fronte di una previsione è metodologicamente destinato all’incertezza, perché il futuro resta imprevedibile. Impegnarsi a cambiare l’esistente è un atto politico in sé, non importa se gli scienziati ne siano consapevoli. Il caso dell’intelligenza artificiale è un paradigma del carattere ambivalente della tecnoscienza. È una disciplina prevalentemente in mano a finanziamenti privati che mira, tra l’altro, all’anticipazione e alla manipolazione dei comportamenti umani, al fine di trarne profitto. È inevitabile che la società fatichi a convincersi che i progressi in questo settore costituiscano di per sé una garanzia di miglioramento delle condizioni di vita delle persone comuni.

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SCHEDA. LA PRESENTAZIONE A ROMA

Martedì 11 ottobre, alle 18.30 a Roma presso la Sala Igea, Palazzo Mattei di Paganica, Istituto della Enciclopedia Italiana, si discuterà del volume di Enrico Pedemonte nell’ambito di una collaborazione tra Treccani e la rassegna torinese Biennale Tecnologia. Con l’autore saranno presenti Teresa Numerico e Juan Carlos De Martin . Modera Marco Motta.