Pierluigi Ciocca è conosciuto e apprezzato autore di testi di economia politica, ma questo suo recentissimo «Ai confini dell’economia» (Aragno Editore, pp.235, euro 20) è di straordinario interesse culturale. L’economia (una volta si diceva sempre: «economia politica»), con l’attuale processo di specializzazione e destoricizzazione adesso è solo scienza economica, accuratamente separata da tutto ciò che sta ai suoi confini: storia, filosofia, letteratura, etc.

Viene da dire che intorno ai suoi confini si sono costruiti muri, che l’attuale lavoro di Ciocca demolisce, mettendo in luce il fertile rapporto dell’economia con il resto del sapere umano. Un attento lavoro culturale che si svolge nei dieci capitoli del libro: capitoli che sono acuti saggi, dal primo sulla storia, che si intitola, appunto, «Clio nella teoria economica» a quello finale «Romanzo ed economia: il Novecento italiano». Ai confini dell’economia il terreno è assai fertile. E così il nostro Ciocca si occupa anche di letteratura, ma sempre come economista: non divaga in vacanze letterarie, anche negli approfonditi saggi su Machiavelli e sul romanzo italiano del Novecento.

Nella prefazione Ciocca sintetizza le ragioni di questa ricerca da economista oltre i classici confini dell’economia. Scrive: «Si diceva un tempo economia politica. L’aggettivo alludeva all’inscindibilità dell’analisi e della proposta in materia economica dal resto del sociale, della polis; condizionato dall’economia, condizionante l’economia». Questa interpretazione scrive Ciocca «non è mai stata interamente smarrita, ma dagli anni Settanta del Novecento abbiamo assistito a una evoluzione, se non a una involuzione. In particolare nel lavoro teorico, la maggior parte degli economisti ha scisso quel reciproco nesso. L’economia politica è divenuta sempre più economia senza aggettivi».

«La disciplina – conclude Ciocca – da economia politica è scaduta in prasseologia». Questa tendenza – specie con il marginalismo – ha prodotto inaridimento e sterilità della scienza economica. Di questo ci si è resi conto in tempi relativamente recenti, direi dopo la seconda guerra mondiale, e c’è stato un ritorno allo studio delle terre di confine, che – precisa Ciocca – «un economista può studiare da economista, senza rinunciare agli strumenti dell’economista». Vogliono, questi scritti, nei loro limiti, essere un elogio della interdisciplinarità, prudente e criticamente avvertita. Insomma evitare di passare da una sterile separazione a una pasticciata mescolanza.

La fertilità di questi studi «ai confini dell’economia» è documentata dai dieci saggi che seguono la breve ed essenziale prefazione. Ho già segnalato i saggi su Machiavelli e i romanzi del Novecento (sui quali a mio parere si potrebbe ancora sviluppare il discorso), ma aggiungo quelli sul brigantaggio nel Mezzogiorno e l’IRI. Insomma dobbiamo seriamente ringraziare Pierluigi Ciocca per questo ragionato invito ad andare oltre i confini dell’economia ed entrare nella politica. Aggiungerei, ma solo a titolo personale, che oggi anche la politica, che si e’ ridotta a politica politicante, dovrebbe andare oltre i ristretti e limitanti confini attuali. Una politica che non ha obiettivi di lungo periodo, che non alimenta speranze nell’animo e nella mente dei cittadini è, tornando a citare Ciocca, disarmante prasseologia. Insomma anche i politici farebbero bene a leggersi questo libro.