La Corte suprema americana si è pronunciata a favore di una legge che in Arizona rende più complicato votare. La sentenza del massimo tribunale, infarcito di toghe conservatrici dopo due nomine firmate da Trump, è l’ultimo tassello di un assalto frontale dei repubblicani alla libertà di voto.

Dopo le presidenziali 2020, che hanno visto un record di affluenza in un paese dal cronico assenteismo, e la vittoria di Biden su Trump con un margine di 10 milioni di preferenze, i Repubblicani hanno infatti lanciato un strategia coordinata per intralciare l’accesso alle urne da parte del maggioranza democratica.

La coalizione progressista è predicata su maggioranze democratiche fra giovani, afroamericani ed elettori ispanici. I repubblicani di contro dipendono dai bianchi, in particolare maschi, un segmento in inesorabile declino proporzionale nella popolazione.

A novembre i Democratici sono riusciti a prevalere grazie a grandi mobilitazioni politiche come quella degli afroamericani in Georgia, organizzata da Stacey Abrams, e fra i latinos dell’Arizona, guidata dagli attivisti del sindacato Unite Here! Il sensibile aumento delle schede spedite per posta ha poi aiutato ad aumentare l’affluenza confermando che la maggiore partecipazione popolare favorisce i Democratici.

Da qui il progetto repubblicano per inibire l’affluenza – principalmente quella di poveri e minoranze – secondo l’antico copione della voter suppression, recuperato dal manuale dell’apartheid sudista. Per statuto federalista, le regole elettorali, anche quelle delle cariche federali, sono di competenza dei singoli Stati che hanno grande discrezione nel plasmarle con questo obbiettivo (30 dei 50 stati sono governati dal Gop).

È principalmente in questi Stati che negli ultimi mesi sono stati presentati oltre 400 disegni di legge per limitare il voto per posta, il numero di seggi, gli orari degli scrutini e in generale tutto ciò che agevola il suffragio universale. Florida e Texas, per dire, hanno reso illegale perfino fornire acqua a chi, di conseguenza, sarà costretto ad aspettare ore in fila davanti ai seggi.

La sentenza di questa settimana ha dato ulteriore impeto a quello che si profila come un sabotaggio in piena regola con l’obiettivo di riconquistare il Congresso agli scrutini di mezzo termine l’anno prossimo.

La manipolazione del voto attraverso i limiti posti all’accesso alle urne ha una lunga storia in un paese in cui i neri hanno ricevuto il diritto al suffragio solo nel 1870, cento anni dopo la fondazione. Le donne seguiranno, nel 1920, con l’adozione del 19mo emendamento alla costituzione.

Ma anche dopo la liberazione degli schiavi i diritti dei cittadini non-bianchi sono stati subito limitati da accorgimenti per impedire il loro accesso concreto alle urne. Il fenomeno dilaga subito nel Sud dove le amministrazioni ex-confederate si adoperano per imporre statuti Jim Crow che codificano gabelle, divieti per detenuti e pregiudicati, tasse speciali, obbligo di presentazione di documenti difficili da ottenere per quella popolazione e addirittura esami di alfabetismo o cultura generale usati ai seggi per respingere elettori «non idonei».

L’impianto di «soppressione del voto» rimane in vigore sostanzialmente invariato sino al moderno movimento per i diritti civili che proprio dei voting rights fa la propria rivendicazione centrale.

La principale conquista del movimento sarà allora proprio la promulgazione del Voting Rights Act, firmato nel 1965 da Lyndon Johnson. Quello statuto, conquistato da Martin Luther King, imponeva agli Stati sudisti, di manifesta malafede, un commissariamento che impediva loro di promulgare regole elettorali autonome. La norma è rimasta in vigore fino al 2013 quando è stata abrogata dalla Corte suprema a maggioranza conservatrice.

In molti Stati repubblicani – a cominciare proprio dai recidivi sudisti – è scattata la corsa a riportare le regole a quelle pre-1965, adducendo la motivazione di fantomatici «brogli» endemici (che ogni analisi e ispezione hanno certificato essere inesistenti). La sentenza della Corte costituzionale palesemente faziosa ha vanificato l’illusione di un possibile ricorso alla magistratura.

Uno dei sue partiti nel sistema bipartitico nazionale ha apertamente optato per il sabotaggio delle elezioni. L’ultima opzione per i Democratici sarebbe ora una legge varata dal Congresso per stabilire garanzie federali e uniformare le leggi elettorali. Ma in Congresso i due disegni già proposti sono attualmente bloccati dall’ostruzionismo dei Repubblicani.

Se Biden non saprà sciogliere questo nodo, come chiede sempre più esplicitamente l’ala progressista del partito, la strada a un consolidato governo di minoranza potrebbe essere spianata già dalle prossime elezioni.