La squadra con il quattordicesimo monte ingaggi della Serie A arriva terza in campionato.

Freddi numeri per raccontare un miracolo sportivo che è un mix tra intuizioni, fantasia e una rigida pianificazione sociale ed economica: la storica qualificazione dell’Atalanta in Champions League.

Sono 27 i milioni spesi dalla società orobica in stipendi (dagli 1,5 per Zapata e Gomez agli 0,3 dei titolarissimi Gosens e Hateboer), un quarto dell’Inter (116 milioni) lasciata indietro, un terzo della Roma (100) e un quinto del Milan (140) spedite loro malgrado in Europa League. Poco meno del solo Ronaldo (31 milioni), per chiudere il discorso. E lasciare spazio ai festeggiamenti di una città esplosa di gioia nel celebrare una delle più grandi imprese del calcio italiano, giunta al termine di una stagione cominciata a metà luglio con i preliminari di Europa League, partita non benissimo e continuata poi in un crescendo rossiniano culminato nella finale persa di Coppa Italia e nella vittoria di domenica con il Sassuolo.

ERA IN SERIE B NOVE ANNI FA la Dea quando Antonio Percassi, già difensore nerazzurro e poi imprenditore vicino ai Benetton, riprende in mano la società per la seconda volta. Proprietario di una holding che fattura quasi un miliardo l’anno, ampi interessi sul territorio dall’aeroporto di Orio al Serio all’apertura di Starbucks a Milano, buoni rapporti con le amministrazioni cittadine, Percassi continua il progetto della sostenibilità economica tipico della squadra bergamasca, basato sulla crescita e sulla vendita dei giovani calciatori e simboleggiata dall’eccezionale lavoro di Mino Favini, scomparso proprio quest’anno.

Dai vecchi Gabbiadini, Montolivo e Bonaventura ai nuovi Caldara, Conti e Gagliardini, allevati nel settore giovanile e poi venduti alle grandi squadre, le plusvalenze incidono ogni anno per quasi un quarto del bilancio, da tre anni in attivo.

E QUI SUBENTRA IL PROGETTO, la parola più abusata nello sport di squadra. Perché puoi anche prendere i migliori giovani ma devi anche sapere farli giocare.

E così, dopo Colantuono e la parentesi Reja, la società decide di affidarsi a Gian Piero Gasperini, scuola Juve, buone stagioni a Genova e una pessima all’Inter, non per colpa sua. In tre anni il tecnico rivoluziona completamente la squadra, lasciando partire la meglio gioventù e affidandosi a un mix di spensieratezza (pochi) ed esperienza (molti di più) che lo porta dove nessuno era mai arrivato prima.

La galleria dell’ultima giornata atalantina
(foto LaPresse)

NON È IL MODELLO AJAX, dove si gioca con lo stesso modulo dalle giovanili, è una serie di intuizioni – il ritorno di De Roon, le scommesse Ilicic e Zapata, Gomez spostato sulla trequarti – tipicamente italiane che portano l’Atalanta a essere la squadra rivelazione.

LA DEA OLTRETUTTO GIOCA – benissimo – con quello che Arrigo Sacchi ha giustamente definito un «sistema puro» declinato in fase difensiva con rigide marcature a uomo e molto distante dal totaalvoetbal olandese.

Quel che fa di moderno Gasperini, che si fa ovunque in Europa ma che non ha il coraggio di proporre nessuno in Italia (con le eccezioni parziali di Spalletti, Giampaolo e De Zerbi), è un pressing asfissiante a cominciare dalla metà campo avversaria.

Incessante come la pressione di Palomino e Freuler, o le discese di Hateboer, Castagne e Gosens, è stato anche il tifo dei suoi sostenitori, vero dodicesimo uomo in casa e in trasferta, compresa quella maledetta di Firenze dove sono stati fermati e malmenati dalla polizia in autostrada senza alcun motivo.

Qui, mentre ancora si aspettano spiegazioni, si è vista la trasversalità del sostegno politico – dal sindaco Pd Gori al deputato della Lega Belotti – e del tessuto cittadino, una delle chiavi del successo.

Così arrivano il terzo posto, il miglior piazzamento in 112 anni di storia, con 77 gol fatti (23 Zapata, 12 Ilicic), 69 punti in campionato di cui 44 conquistati nel girone di ritorno con 13 risultati utili di fila (pareggio a Milano con l’Inter e a Torino con la Juve, vittoria in trasferta a Napoli), per una cavalcata trionfale che ora si spalanca sulle porte dell’ignoto.

COSA FARANNO I CALCIATORI più promettenti, ascolteranno le sirene dei grandi club per andare a guadagnare di più, non sempre riuscendo a mantenersi sugli stessi livelli, o si fermeranno a Bergamo? E soprattutto cosa farà Gasperini, sceglierà di ripartire dalla Roma o preferirà restare in Champions con tutte le incognite della stagione post miracolo (vedi Ranieri esonerato dopo il titolo col Leicester)?

Queste e altre domande accompagneranno l’Atalanta nelle prossime settimane, senza minimamente sminuire quella che è stata una stagione fantastica, tanto meravigliosa quanto purtroppo difficile da ripetersi: un po’ come quella del sommo Ilicic, sublime talento che si degna di giocare solo quando gli astri del cielo si allineano tutti al suo servizio.