Gli ulivi pugliesi sono ancora sotto osservazione. Il fenomeno del disseccamento prosegue la sua propagazione, dopo aver già messo in ginocchio la produzione pugliese del 2019, ridotta dei due terzi. Si tratta di un fenomeno non nuovo nella storia dell’agricoltura salentina, che ha registrato epidemie di disseccamento nel corso degli ultimi tre secoli e che in quest’ultima occasione è stato particolarmente associato al dilagare del batterio Xilella fastidiosa. Il microrganismo parassita è stato individuato ufficialmente in Europa nell’autunno del 2013, proprio in una zona circoscritta del Salento ionico, ma in realtà era già stato segnalato nel 2011 in Francia nelle piante di caffè e nel 1998 in Kosovo sulle viti. Sempre al 2008 risalgono i primi riscontri da parte degli olivicoltori salentini. Difatti nel 2010 si era svolto a Bari un worshop internazionale sul rischio rappresentato dal batterio nel bacino del Mediterraneo. Fatto sta che dal 2013 disseccamento e Xilella, trasferita alle piante dall’insetto vettore Sputacchina, hanno viaggiato nell’intera provincia di Lecce e poi in quelle di Brindisi e Taranto, spostandosi verso nord e ovest alla velocità di circa 2 chilometri al mese. Il 23 ottobre 2019 sono stati segnalati 73 nuovi olivi infetti nelle province di Taranto e soprattutto di Brindisi. Il 4 dicembre è giunta notizia di altri 80 ulivi, di cui 71 in provincia di Brindisi e 9 in quella di Taranto, con un ulteriore avanzamento del batterio verso ovest.

TRA TARANTO E BRINDISI l’Arif Puglia, l’Ente tecnico-operativo preposto all’attuazione degli interventi in ambito forestale ed irriguo, a fine maggio e gli inizi di giugno darà il via a quello che è il terzo monitoraggio degli ulivi pugliesi. Il secondo, iniziato il 5 agosto 2019 e terminato il 6 febbraio 2020, aveva ispezionato 153.996 maglie tra la zona cuscinetto e quella di contenimento. Nella prima non è stata rilevata alcuna pianta infetta, mentre nella seconda sono risultate infette diverse centinaia. Tale attività di controllo e si accompagna all’abbattimento delle piante secondo quanto stabilito dall’Unione europea che ha imposto agli Stati membri la misura draconiana di rimuovere immediatamente non solo le piante infette, ma anche tutte le piante ospiti – ancorché prive di sintomi d’infezione – situate in un raggio di 100 metri attorno a quelle contagiate: la suddetta «zona cuscinetto», quella limitrofa alla zona infetta. Una misura che in Italia è stata recepita con il cosiddetto Piano Siletti, dal decreto Martina e i successivi. Le piante rimosse, una volta che i finanziamenti promessi saranno disponibili, verranno sostituite con varietà più resistenti, la Leccina e la Favolosa, che non sono autoctone e da cui si ricava un extravergine meno pregiato. In più le azioni di prevenzione e rimozione del patogeno prevedono l’utilizzo massiccio di pesticidi per eliminare l’insetto vettore del patogeno. Ma mentre le ruspe agiscono inesorabili spazzando via centinaia e centinaia di piante senza sosta e irrorando di pesticidi piretrici e neonicotinoidi e campagne pugliesi, alcuni olivicoltori contrari alla drastica dottrina dell’estirpa, sostituisci, disinfesta, stanno di affrontando il problema in un altro modo, cercando di salvare le loro pregiate piante autoctone: usando pazienza, dedizione, fatica, e adesso anche con qualche speranza in più.

L’OLEIFICIO SOCIALE S. ANNA SOC. COOP. è una cooperativa nata alla fine degli anni ’60 su iniziativa di alcuni piccoli produttori olivicoli che oggi conta circa 1000 soci. Ha sede nel Comune di Vernole, in provincia di Lecce e comprende un’areale di circa 1500 ettari con quasi un milione di piante; l’olio viene prodotto e commercializzato dalla cooperativa stessa che lo immette sul mercato locale, regionale e nazionale. Anche la Cooperativa è stata colpita duramente dal disseccamento, perdendo più del 70% delle piante: il fenomeno è veloce e implacabile in particolare sulle pregiate varietà autoctone della Ogliarola leccese, piante millenarie che hanno visto l’imperatore Ottaviano, e della Cellina di Nardo’. Grazie anche alla presenza del frantoio e di tutte le attività connesse alla coltivazione e produzione , la Cooperativa è riuscita a restare in piedi, e cosa importante, senza sacrificare ai principi sociali e ambientali che l’hanno caratterizzata dalla sua fondazione: mutualità, tradizione, biologico. È proprio dall’iniziativa di uno dei soci della cooperativa che è partito un metodo di cura semplice, economico, naturale che sta dando risultati insperati: l’aceto. Nel 2018 rifacendosi ad alcuni studi che hanno dimostrato l’efficacia dell’acido acetico contro i micobatteri, gruppo che annovera batteri del calibro dell’agente infettivo della tubercolosi e della lebbra, essendo che anche Xylella è un micobatterio, il Presidente della Cooperativa Michele Doria, ha deciso di provare il tutto per tutto su una pianta che si trovava in condizioni disastrose. Nel giro di due anni di un trattamento che consiste nella semplice irrorazione della pinta con una soluzione di acqua e aceto, l’ulivo, una cultivar appartenente alla varietà Cellina di Nardò, si è ripresa ed al momento si trova in una fase di fioritura straordinaria. Dati i risultati incoraggianti Michele ha esteso la sperimentazione ad altre piante, e così hanno fatto anche altri soci della cooperativa: tutti hanno ottenuto dei risultati positivi. A rispondere particolarmente bene è sempre la varietà Cellina di Nardo’, raccontano, ma anche le varietà Ogliarola, seppur più lentamente e dal basso anziché verso l’alto, mostrano segnali di ripresa. È assolutamente ancora presto per dare a questi risultati una qualsiasi valenza, ma fatto sta che anche altre Cooperative hanno deciso di provare e nel frattempo il metodo ha suscitato l’interesse di alcune realtà scientifiche come il CNR e l’Istituto Forestale di Lecce.

QUESTA ESPERIENZA SI AGGIUNGE a quella di chi, compresa la Cooperativa Sant’Anna, si è sforzata di mantenere le piante con metodi eco-compatibili: continue potature, trattamenti al solfato di ferro e alga tonic, disinfestazione a base di calce, concimatura biologica fogliari; cura del terreno quindi oltre che delle piante in quanto diversi studi hanno provato essere, quello pugliese, estremamente impoverito di sostanza organica e microrganismi. Salvare le piante in questo modo non è facile : è lungo e costoso , soprattutto in un contesto dove la cultura contadina tradizionale è stata soppiantata dall’agro industria che punta alla quantità del momento piuttosto della qualità e che nel suo non farsi scrupolo dell’impiego massiccio di pesticidi che uccidono anche gli insetti impollinatori, si dimostra ben poco lungimirante.