Caos, urla, proteste. La destra israeliana più radicale, dentro e fuori il governo Netanyahu, batte il pugno sul tavolo. Vuole la fine immediata del negoziato. E che sia scaricata ogni responsabilità su Abu Mazen e l’Anp, “colpevoli”, proclama, di aver avviato l’iter di adesione dello Stato di Palestina a 15 Convenzioni e di aver respinto il “compromesso” che il Segretario di stato John Kerry aveva presentato per estendere i colloqui fino al 2015. Abu Mazen, in sostanza, avrebbe violato l’impegno preso a luglio di non rivolgersi alle istituzioni internazionali. Come se non fosse una grave violazione la decisione israeliana di non rispettare l’accordo che prevedeva la liberazione, il 29 marzo, di una trentina di detenuti politici palestinesi, gli ultimi dei 104 pattuiti a luglio.

«I negoziati sono bloccati. Abu Mazen ha sputato su tutti», ha tuonato il ministro dell’edilizia (quindi delle colonie) Uri Ariel, del partito ultranazionalista Focolare ebraico. «Abu Mazen – ha aggiunto il ministro – ha reagito con una provocazione…Abu Mazen pensa di poter sputare su tutti e poi trarne vantaggi». Ad Ariel non importa nulla delle trattative, che ha sempre ostacolato con i suoi piani di colonizzazione. La sua rabbia deriva piuttosto dal siluro che il leader dell’Anp ha lanciato contro l’idea di John Kerry che prevede la liberazione da parte degli Stati Uniti della spia ed icona israeliana Jonathan Pollard, in cambio della scarcerazione di 400 detenuti palestinesi accompagnata da un limitato congelamento dell’espansione delle colonie, peraltro solo in Cisgiordania. La destra punta alla “ritorsione immediata”: l’annessione a Israele con un atto formale della Valle del Giordano e dei blocchi di colonie in Cisgiordania.

Sarebbe però un errore pensare che la trattativa messa in piedi da Kerry la scorsa estate stia vivendo i suoi ultimi giorni. I mediatori americani sono ancora al lavoro perchè sanno che il presidente palestinese non cerca una rottura vera. Piuttosto mostra i muscoli, prova a far capire che qualche freccia al suo arco c’è ancora. La liberazione di Pollard, segnala Abu Mazen, è un’occasione così ghiotta per Israele che Netanyahu non può sperare di realizzarla continuando a porre al tavolo dei colloqui tutte le sue condizioni, a cominciare dalla richiesta del riconoscimento palestinese di Israele come “Stato del popolo ebraico” che Ramallah ritiene inaccettabile per conseguenze che ciò comporterebbe per i diritti dei profughi e dei palestinesi con cittadinanza israeliana. Non sorprende perciò che l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) si sia affrettata ieri a precisare che «Il processo negoziale non è finito» e che l’organizzazione resta «legata all’impegno dei nove mesi che terminano il 29 aprile». «Nonostante l’escalation delle politiche oppressive israeliane – dice l’Olp – come l’uccisione di civili, la costruzione delle colonie, raid in comunità vulnerabili, arresti arbitrari e detenzioni, demolizioni di case e rimozione di diritti di residenza, noi restiamo impegnati nel processo negoziale e sosteniamo gli sforzi Usa». L’Olp aggiunge «Visto che Israele ha mancato di liberare l’ultimo gruppo di prigionieri, lo Stato di Palestina non si sente più obbligato a postporre i suoi diritti di accedere ai trattati e alle convenzioni multilaterali».

Insomma, Abu Mazen si pone un po’ dentro e un po’ fuori. D’altronde anche il tipo di convenzioni internazionali alle quali i palestinesi sarebbero intenzionati ad aderire, segnala che Abu Mazen si lascia sempre aperta la possibilità di congelare tutto e di riprendere le trattative, sebbene non alle condizioni di Israele.

L’iter di adesione riguarda:

  1. Quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto del 1949 e il Primo Protocollo addizionale;
  2. Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche;
  3. Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari;
  4. Convenzione sui diritti del bambino e Protocollo opzionale sui diritti del bambino sui coinvolgimento dei bambini in conflitti armati;
  5. Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne;
  6. Convenzione dell’Aja (IV) sul rispetto delle leggi e dei diritti di guerra sulla Terra e suoi annessi;
  7. Convenzione dei diritti delle persone con disabilità;
  8. Convenzione di Vienna sulla legge dei trattati;
  9. Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale;
  10. Convenzione contro la tortura e altre crudeltà, inumanità, trattamento degradante o punizione;
  11. Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione;
  12. Convenzione sulla prevenzione e la pena del crimine di genocidio;
  13. Convenzione internazionale sulla soppressione e la pena del crimine di apartheid;
  14. Accordo internazionale sui diritti civili e politici;
  15. Accordo internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Mancano le richieste di adesione alle Corti internazionali, quelle che davvero spaventano Israele.