Sono ormai senza soluzione di continuità le manifestazioni contro il potere centralista di Mosca iniziate una settimana fa a Khabarovsk, capitale dell’omonima provincia dell’estremo oriente siberiano. Ieri mattina, sfidando un caldo tropicale, sono scese in piazza oltre 60 mila persone, secondo il corrispondente del portale Medusa.

LE PROTESTE di strada erano già iniziate sabato scorso quando Sergey Furgal, il governatore della provincia, era stato arrestato dal Fsb con l’accusa di aver commissionato l’omicidio di 3 persone nel 2004-2005 quando era ancora un semplice imprenditore siberiano cresciuto con il business delle privatizzazioni delle risorse economiche sovietiche.

Entrato in politica solo qualche anno fa come front-man regionale del partito della destra xenofoba di Vladimir Zirinovsky, era riuscito nel 2018 nell’impresa di sconfiggere nelle elezioni amministrative il candidato di Russia unita, e cioè del partito visto dagli elettori della zona non tanto come la formazione di Putin quanto dell’odiata capitale del paese.

Anche per questo erano confluiti su di lui i voti non solo del partito liberal-democratico ma anche dei comunisti e di tanti semplici cittadini stanchi dell’onnipresente e corrotto potere federale. Così quando sono scattate le manette ai polsi di Furgal, l’opinione pubblica della regione ha inteso nell’azione giudiziaria a scoppio ritardato, un tentativo – giunto proprio subito dopo l’approvazione delle modifiche alla Costituzione – di porre sotto controllo da parte del Cremlino le ormai poche istituzioni indipendenti.

Sabato scorso, malgrado il divieto di manifestare imposto dalla polizia, decine di migliaia di persone sono scese in piazza spontaneamente dopo un tam tam sui social durato 2 giorni. Una grande manifestazione popolare composta da famiglie al completo e tanti giovani: “processo giusto per Furgal!” “Via da Mosca!” erano le parole d’ordine più scandite da un fiume di persone che non si era mai visto neppure in occasione dei partecipatissimi e popolarissimi cortei del 9 maggio in ricordo della vittoria sul nazismo.

UNA PROTESTA che ha fatto squillare più di un campanello d’allarme al Cremlino. Già lunedì scorso è atterrato in tutta fretta in città il vice primo ministro e plenipotenziario presidenziale per l’Estremo oriente Yuri Trutnev, con il proposito di fare da pacere. Trufal ha cercato di barcamenarsi senza grande successo: ha accusato l’amministrazione in carica di essere inefficiente ma ha sostenuto di rispettare la protesta popolare seppur “l’elettorato non potesse conoscere il passato di Furgal”.

Ha anche ammesso che il governatore è “molto popolare” ma che ora è “tempo di guardare avanti”. Il suo passaggio in Asia non ha lasciato traccia alcuna e anche durante la settimana lavorativa al calar del sole le manifestazioni sono proseguite fino a notte fonda diventando una sorta di happening a tema. Non sono serviti neppure gli appelli dello stesso Furgal dal carcere Lefortovo di Mosca.

Il governatore dopo aver ringraziato i propri concittadini “per i gesti di simpatia e solidarietà” ha invitato la popolazione a restare a casa, ma non ha ottenuto grande ascolto, così come non hanno avuto alcuna presa né la richiesta da parte dell’ospedale cittadino di restare a casa causa aumento dei casi di coronavirus né il tentativo di intimidazione da parte della polizia, che parlava di “possibili attentati terroristisici”.

IERI IL CORTEO è stato ancora più ampio con una partecipazione di gente venuta da tutta la provincia e perfino da Vladivostok. In ballo c’è non tanto e non solo il destino di un governatore quanto la gestione degli investimenti e del futuro di un’area territoriale gigantesca di 750 mila chilometri quadrati che a nord confina con la la Yakuzia a sud-ovest con la Cina e a sud-est proprio con la regione di Vladivostok, il cui grande porto si affaccia di fronte al Giappone ed è definito “la porta bianca” al commercio in Asia orientale, uno degli avamposti sinergici, in prospettiva, con One Belt One Road.

Se Mosca dovesse perdere il controllo della situazione, le spinte secessioniste potrebbero mettere in discussione non solo il potere putiniano ma la tenuta stessa della Federazione.